IVA sulla nautica da diporto: CM 43/E/2011

Fonte: Fisco Oggi

Autore: Redazione Fisco Oggi

Data: 29/09/2011

Le unità da diporto nelle acque UE
Le percentuali forfetarie IVA previste per il presunto utilizzo delle imbarcazioni da diporto nelle acque territoriali comunitarie ([download id=”6709″]), si possono applicare sia ai corrispettivi di locazione (noleggio e simili) a breve termine, sia nel caso in cui la locazione (noleggio e simili) non sia a breve termine (art. 7-quater lett. e), art. 7-sexties lettera e), DPR 633/1972). È il primo dei chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con [download id=”6711″].

IVA sul noleggio a breve termine
Sulla territorialità delle prestazioni di servizi ai fini IVA, l’Agenzia risponde, poi, a due quesiti sul noleggio a breve termine delle imbarcazioni.

Con il primo viene chiesto se, nell’ipotesi in cui l’imbarcazione sia messa a disposizione nel territorio di uno Stato membro, le prestazioni scontino l’IVA: la circolare, al riguardo, precisa che l’operazione non è soggetta a IVA in Italia e, inoltre, non vi è obbligo di fatturazione, né l’operazione va indicata nel modello Intrastat.
Con secondo quesito si chiede se, nel caso in cui l’imbarcazione sia messa a disposizione al di fuori del territorio UE, si può applicare, per il periodo di utilizzo entro le acque italiane, la percentuale forfetaria prevista dalla circolare ministeriale in tema di trasporti marittimi (n. 11/420390 del 7 marzo 1980), che ha fissato l’IVA nella misura del 5% del trasporto complessivo. L’Agenzia chiarisce che la predetta circolare si riferisce a operazioni diverse dalla locazione di mezzi di trasporto, oggetto del quesito. Per queste prestazioni di servizi, dunque, si deve escludere l’applicazione del forfait previsto in tema di trasporti internazionali.

La non imponibilità apre alla locazione
Nell’esercizio di attività commerciali entra anche la “locazione” delle imbarcazioni di diporto, con la conseguente possibilità di fruire del regime di non imponibilità ex art. 8-bis DPR 633/1972. L’apertura, rispetto alle precedenti interpretazioni, che attraevano nel beneficio della non imponibilità le unità impiegate in attività di “noleggio” (lasciando, appunto, fuori la locazione), fa seguito alla rinnovata normativa di settore, con l’art. 2 Dlgs 171/2005 (Codice della nautica di diporto) che considera commerciali le attività in cui l’imbarcazione “a) è oggetto di locazione e noleggio, b) è utilizzata per l’insegnamento professionale della navigazione da diporto, c) è utilizzata da centri di immersione e di addestramento subacqueo come unità di appoggio per i praticanti immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo“.

Canoni a privati con IVA
Strettamente collegato al precedente chiarimento è quello relativo alla possibilità di estendere la non imponibilità, ex art.8-bis DPR 633/1972, alle prestazioni di noleggio e locazione rese nei confronti di privati (non soggetti d’imposta). La risposta è stata perentoria: se una nave viene data in locazione a persone che l’utilizzano esclusivamente a fini di diporto e non a scopo di lucro, al di fuori di qualsiasi attività economica, la prestazione di locazione non soddisfa le condizioni esplicite di esenzione dall’IVA poste dall’articolo 15, punto 5, della sesta direttiva (Corte di giustizia, sentenza 18 ottobre 2007, causa C-97/06). Principio chiaro, in base al quale i canoni di noleggio e locazione, effettuati nei confronti di privati, scontano l’IVA ordinaria (se ovviamente l’operazione può considerarsi territorialmente rilevante). Così come soggette all’imposta sono eventuali altre prestazioni che, seppur definibili “commerciali” dalla legge sulla nautica di diporto, sono rese in favore di privati.

Noleggio e locazione a soci. Occhio alla prevalenza
Può considerasi commerciale, con la conseguente applicazione del regime di non imponibilità, l’attività di noleggio effettuata dalla società proprietaria di unità da diporto, adibita a uso commerciale, nei confronti di propri soci ma comunque a canoni di mercato?
E’ per rispondere a questa domanda che è arrivato da parte dell’Agenzia il chiarimento più approfondito e articolato. Procediamo per gradi.
Detto che c’è mancanza assoluta di attività economica ogni volta in cui la società sia messa su solo per acquistare senza IVA beni destinati esclusivamente a essere messi a disposizione dei soci persone fisiche o dei loro familiari (con lo stesso articolo 4, co. 5, DPR 633/1972 che, proprio in riferimento – fra l’altro – alle unità di diporto, specifica che non dà luogo ad attività commerciale la gestione delle stesse, da parte di società o enti, quando soci e partecipanti possono “godere” del bene, anche indirettamente, per fini personali o familiari, gratuitamente o verso un corrispettivo inferiore al valore normale), l’Agenzia piazza un altro vincolo: per l’applicabilità del regime di “non imponibilità” (il più volte citato articolo 8-bis) alle cessioni di imbarcazioni destinate all’esercizio di attività commerciali ed esteso, ricorrendone i presupposti, a quelle di motori e pezzi di ricambio, di beni destinati a dotazione di bordo e al vettovagliamento dell’imbarcazione, nonché a tutta una serie di prestazioni, non basta che l’attività possa considerarsi commerciale.

Più chiaramente, la società che effettua prestazioni di noleggio e locazione dell’imbarcazione sia nei confronti di terzi sia nei confronti di soci, familiari e/o affini (o di persone comunque in qualche modo riconducibili al “soggetto imprenditore”), a canoni di mercato, può acquisire la soggettività passiva IVA, ma non è detto possa anche beneficiare del regime di non imponibilità. A tal fine è necessario verificare, quantitativamente, che l’attività è resa prevalentemente nei confronti di soggetti diversi dai soci.
Ma come testare tale “prevalenza”, che, peraltro – è precisato – va accertata per singola unità di diporto e non in relazione all’intero “parco barche”? La circolare dà, in prima battuta, come parametri i giorni di utilizzo dell’unità da diporto e l’ammontare dei corrispettivi fatturati, da monitorare in relazione al biennio precedente. (o in via presuntiva, per le nuove attività).

Qualora, comunque, sulla base di tali parametri quantitativi, l’attività verso terzi dovesse risultare non prevalente, potranno essere interpretati altri elementi, che, in una valutazione d’insieme, possono aprire alla non imponibilità. In tal senso, la verifica dovrà individuare se:

  • l’unità da diporto è affidata ad un broker indipendente per il noleggio e/o la locazione nei confronti di soggetti terzi a prezzi di mercato
  • l’attività di noleggio e/o locazione dell’unità da diporto è pubblicizzata su riviste specializzate (gratuite o a pagamento)
  • è dimostrato l’effettivo svolgimento di attività di negoziazione con soggetti terzi, indipendentemente dall’effettiva stipulazione di contratti.

TERRITORIALITA’ SERVIZI: verifica committente

Fonte: eutekne.info

Data: 22/09/2011

Autori: L. Cacciapaglia e F. D’alfonso

Le prestazioni di servizi generiche rese da operatori economici nei confronti di soggetti passivi sono territorialmente rilevanti ai fini IVA nel luogo in cui il destinatario ha stabilito la propria attività. L’accertamento delle menzionate caratteristiche è demandato agli stessi soggetti coinvolti nell’operazione, secondo regole fissate dal Legislatore o dalla singola Amministrazione fiscale. In particolare, il Reg.(CE) 282/2011, di rifusione del precedente Regolamento n. 1777/2005, ha previsto alcune disposizioni volte a garantire i soggetti coinvolti nelle prestazioni di servizi transnazionali, con particolare riguardo alla figura del prestatore adempiente, il quale è ora tenuto all’accertamento dello status, della qualità e del luogo di stabilimento del committente.

Tali caratteristiche devono essere valutate esclusivamente al momento del fatto generatore dell’imposta (articolo 25 Reg.(CE) 282/2011), cioè, in sostanza, al momento di effettuazione dell’operazione secondo la normativa nazionale, da individuarsi in base ai criteri ex art. 6 Decreto IVA. Un diverso trattamento fiscale può aversi, invece, nel caso di iniziale versamento di un acconto con previsione di un determinato impiego del servizio (ad esempio, per fini privati) e successivo pagamento del saldo, in presenza, tuttavia, di una diversa utilizzazione dello stesso (ad esempio, per fini d’impresa), nel qual caso si applicherà un regime IVA differenziato con riferimento ai due diversi momenti (CM 37/E/2011).

Tanto premesso, il prestatore del servizio dovrà innanzitutto verificare che il committente sia un soggetto passivo IVA. A tal fine, occorre distinguere l’ipotesi in cui quest’ultimo sia appartenente alla Ue da quella in cui non lo sia.
Il prestatore Ue, qualora il committente Ue gli comunichi il proprio numero di partita IVA, sarà tenuto, per essere esonerato da ogni responsabilità (salvo che, naturalmente, possegga informazioni contrarie), semplicemente a verificare:

  • la validità di tale numero mediante il sistema VIES;
  • la corrispondenza del nome e dell’indirizzo comunicati in base alle disposizioni del Reg. (CE) 904/2010, in vigore, tuttavia, soltanto dal 2012.

Laddove, poi, il committente non abbia ancora ottenuto il numero di partita IVA, ma abbia informato il prestatore di averne fatta richiesta, il prestatore potrà fare riferimento a qualsiasi prova fornita dal committente, fermo restando che il primo dovrà effettuare una verifica di ragionevole ampiezza, attraverso le normali procedure di sicurezza commerciali (controlli d’identità o di pagamento), dell’esattezza delle informazioni fornite dal committente. In assenza di elementi che dimostrino palesemente l’assenza di status di soggetto passivo, può attribuirsi rilevanza alla richiesta di attribuzione della partita IVA che il committente estero mette a disposizione del prestatore stabilito nel territorio dello Stato (CM 37/E/2011). Nel caso in cui, invece, il prestatore dimostri che il committente non gli ha comunicato il suo numero individuale di identificazione IVA, egli può considerare il committente privo di soggettività passiva, salvo che, anche in questo caso, disponga di informazioni contrarie sullostatus di quest’ultimo.

Laddove, poi, il committente sia un soggetto extra-Ue, il prestatore Ue per essere al riparo da ogni contestazione, posto che emette una fattura senza IVA ex art. 7-ter, co.1, lett. a) DPR 633/1972, deve ottenere dal committente extra-Ue il certificato attestante il diritto al rimborso ai sensi della tredicesima direttiva (Direttiva 86/560/CEE – Modalità di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti nel territorio della Comunità). In mancanza di tale certificato (che peraltro è rilasciato solo da un limitato numero di Paesi, come ad esempio Israele, Svizzera e Norvegia), il destinatario dovrà disporre di un numero di partita IVA o di un altro numero identificativo equivalente attribuitogli dal Paese di stabilimento o, comunque, dovrà fornire al prestatore qualsiasi altra prova attestante il proprio status di soggetto passivo. L’esattezza delle informazioni fornite dovrà, poi, essere verificata dal prestatore attraverso le normali procedure di sicurezza commerciali, quali quelle relative ai controlli di identità o di pagamento.

Eseguita questa prima valutazione, il committente dovrà, poi, verificare se il committente stia acquistando il servizio per destinarlo alla propria attività economica o esclusivamente a uso privato, dal momento che, in quest’ultimo caso, lo stesso dovrà considerarsi soggetto non passivo ai fini della individuazione del luogo di imposizione dell’operazione. Tuttavia, nell’ipotesi in cui il destinatario abbia comunicato al prestatore il proprio numero di partita IVA, quest’ultimo può senz’altro considerare che i servizi siano destinati all’attività economica del destinatario anche in caso di effettiva destinazione ad uso privato, salvo che non disponga di informazioni contrarie (art. 19 Reg.(CE) 282/2011), come ad esempio la natura del servizio di fatto incompatibile per un utilizzo commerciale. Inoltre, in caso di servizi compatibili sia con la sfera privata sia con la veste di soggetti passivi, il prestatore potrà chiedere al committente non comunitario anche gli elementi necessari a giustificare lamancata applicazione dell’imposta secondo il criterio generale B2B (CM 37/E/2011). Nell’ipotesi, poi, di servizi unici, destinati cioè sia ad uso privato, ivi compreso quello reso ai dipendenti del destinatario, sia a fini commerciali, il destinatario dei servizi dovrà essere considerato soggetto passivo per l’intera prestazione ricevuta (in assenza, tuttavia, di pratiche abusive).

Ricordiamo, al riguardo, che società, enti, associazioni o società semplici devono esseresempre considerate, a tali fini, soggetti passivi, salvo l’ipotesi in cui il servizio sia destinato a un uso privato delle persone che fanno parte di tali organizzazioni ovvero dei dipendenti delle stesse (CM 37/E/2011). L’esercizio di attività imprenditoriale, artistica o professionale non è, invece, sufficiente nel caso in cui il committente sia una persona fisica, per cui in questa ipotesi il prestatore del servizio sarà tenuto a effettuare una valutazione di compatibilità complessiva, al fine di verificare che il servizio sia acquistato nell’esercizio di tale attività.

Successivamente, il prestatore dovrà determinare il luogo di stabilimento del committenteverificando l’esattezza delle pertinenti informazioni (tra le quali il numero di identificazione IVA), ricevute dal committente attraverso le normali procedure di sicurezza commerciale (controlli di identità o di pagamento).

Ricordiamo, infine, che il prestatore riveste un ruolo importante anche con riferimento alla verifica della circostanza che, in relazione alla prestazione di servizio eseguita nello Stato membro del committente, non sia dovuta l’imposta poiché, ad esempio, considerata esente o non imponibile in base alla legislazione locale. A tal fine, l’operatore italiano sarà esente da responsabilità circa la qualificazione dell’operazione (e la conseguente non inclusione della stessa negli elenchi INTRASTAT) laddove richieda e ottenga dal committente Ue una dichiarazione in cui quest’ultimo afferma che la prestazione è esente o non imponibile nel suo Paese di stabilimento (CM 43/E/2010).

Tale dichiarazione è valida per tutte le prestazioni della stessa specie dallo stesso ricevute, e rimane tale fino a che non vi siano cambiamenti per quanto concerne il trattamento fiscale delle stesse nel Paese del committente o le caratteristiche del servizio reso. In mancanza di tale dichiarazione, il soggetto IVA nazionale potrà essere esentato dall’obbligo di presentazione degli elenchi INTRASTAT esclusivamente nell’ipotesi in cui abbia la certezza, in base ad elementi di fatto obiettivi, che con riferimento alle stesse non è dovuta l’imposta nello Stato membro del committente.

RIMBORSO IVA UE: domanda (anche correttiva) entro il 30 settembre

L’Agenzia delle Entrate, con la news del 21/09, ricorda che entro il 30 settembre 2011 deve essere inviata telematicamente la domanda (anche correttiva) di rimborso IVA relativa all’anno 2010 assolta in un altro Paese UE.

Dal 1° gennaio 2010 è in vigore la nuova disciplina per il rimborso IVA erogabile ai contribuenti stabiliti in uno Stato membro diverso da quello che effettua il rimborso; per via di questa nuova disciplina:

  • il contribuente UE non residente in Italia deve presentare la richiesta di rimborso all’amministrazione finanziaria del proprio Stato che la trasmetterà, telematicamente, all’Agenzia delle Entrate italiana.
  • il contribuente IT non residente nel Paese UE del rimborso deve presentare la richiesta di rimborso all’Agenzia delle Entrate italiana che la trasmetterà, telematicamente, all’amministrazione finanziaria dello Stato del rimborso.

La richiesta di rimborso (Direttiva 2008/9/CE del 12 febbraio 2008, recepita con D.Lgs. 18/2010):

  • va compilata in lingua italiana (ma è accettata anche in inglese e francese) e gli importi vanno indicati in euro,
  • può essere presentata per periodi non superiori all’anno e non inferiori a tre mesi
  • se il contribuente ha un credito IVA per un periodo inferiore a tre mesi potrà richiedere il rimborso del credito utilizzando la procedura annuale (es., se un contribuente è in possesso di fatture per i soli mesi di gennaio e febbraio non può chiedere il rimborso per il 1° trimestre, ma lo potrà fare soltanto con la richiesta annuale);
  • per le richieste relative a un trimestre l’importo minimo rimborsabile è di 400 euro (se inferiore, il rimborso sarà annuale); per le richieste relative all’anno, invece, l’importo minimo rimborsabile è di 50 euro.

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IVA SUI BENI IN PERFEZIONAMENTO PASSIVO

Fonte: eutekne.info

Autore: L. Cacciapaglia e F. D’Alfonso

Data: 20/09/2011

Le prestazioni di costruzione, riparazione, modificazione, trasformazione, manutenzione, ecc. di beni mobili si caratterizzano per la circostanza di realizzare su beni materiali un intervento meramente fisico. Ne consegue che non possono considerarsi tali i servizi prestati in via principale e ordinaria da un medico veterinario, anche se in alcune ipotesi essi implicano necessariamente un intervento fisico sull’animale (Corte di giustizia delle Comunità europee 6 marzo 1997, causa C-167/1995).

Tanto premesso, detti servizi effettuati su beni mobili materiali, se resi nei confronti di soggetti passivi IVA, seguono la regola generale basata sul luogo dove è fissata la sede dell’attività economica del soggetto destinatario del servizio. Dunque:

  • sono rilevanti ai fini IVA i servizi resi ad un soggetto passivo stabilito in Italia (articolo 7-ter, co.1, lett. a) DPR 633/1972), senza che assuma alcuna rilevanza l’uscita o meno dei beni su cui il servizio è reso dal Paese di esecuzione della prestazione. Non ha alcun rilievo, inoltre, il fatto che il prestatore del servizio sia comunitario o extracomunitario;
  • viceversa, sono fuori campo IVA, per difetto del presupposto territoriale, le prestazioni effettuate nei confronti di un soggetto passivo estero, anche se l’esecuzione materiale delle lavorazioni avviene in Italia poiché i beni sono stati qui trasportati per svolgere il servizio.

Allorché, invece, le prestazioni in questione abbiano come destinatari persone che non sono soggetti passivi, il luogo di tassazione è rappresentato dal luogo dove i lavori relativi ai beni mobili sono materialmente eseguiti. Pertanto, i servizi di lavorazione relativi a beni mobili effettuati verso committenti non soggetti passivi: sono rilevanti nel territorio dello Stato qualora eseguiti nello stesso (art. 7-sexies, co.1, lett. d) DPR 633/1972); sono fuori campo IVA, per difetto del presupposto territoriale, se eseguite all’estero.

Va, tuttavia, ricordato che le prestazioni relative a beni mobili materiali rilevanti nel territorio dello Stato assumono la natura di operazioni non imponibili qualora abbiano ad oggetto i trattamenti di cui all’art. 176 DPR n. 43/1973 – Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale (lavorazioni, trasformazioni, riparazioni ecc.) – eseguiti (art. 9, primo comma, n. 9 DPR 633/1972): su beni di provenienza estera non ancora definitivamente importati, ovvero su beni nazionali nazionalizzati o comunitari destinati ad essere esportati da o per conto del prestatore del servizio o del committente non residente nel territorio dello Stato. Usufruiscono, inoltre, del trattamento di non imponibilità anche i lavori di manutenzione aventi ad oggetto navi e aeromobili.

Nel caso in cui un operatore economico nazionale fornisca ad un soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro della UE servizi di lavorazione relativi a beni mobili materiali, dovrà dichiarare tali operazioni nell’elenco riepilogativo delle prestazioni rese, compilando il modello INTRA 1-quater. Di converso, i soggetti passivi stabiliti in Italia che hanno ricevuto, da un soggetto passivo UE i servizi in questione, devono presentare l’elenco riepilogativo relativo alle prestazioni di servizi ricevute, compilando il modello INTRA 2-quater. Oltre agli obblighi di presentazione degli elenchi riepilogativi relativi alle prestazioni rese e ricevute, in relazione ai beni spediti o ricevuti in base a rapporti di lavorazione gli operatori che presentano gli elenchi riepilogativi delle operazioni intracomunitarie con periodicità mensile sono tenuti a compilare anche la parte statistica relativa agli stessi.

Premessa la disciplina IVA dei servizi in questione, è evidente che, in relazione alle lavorazioni realizzate all’estero su beni in regime di c.d. “perfezionamento passivo” (inviati, cioè, all’estero al fine di essere oggetto, appunto, di servizi di lavorazione) sorge il rischio di incorrere in una duplicità d’imposizione. In base alla disciplina attuale, infatti, l’IVA è dovuta sia al momento della fatturazione in “reverse charge” del servizio di lavorazione da parte del committente nazionale, sia in dogana in relazione al valore aggiunto prodotto dalla lavorazione.

Nella CM 37/E/2011, l’Agenzia delle Entrate ha risolto la questione chiarendo che, al rientro dei beni sottoposti a lavorazione, previa presentazione in dogana della fattura emessa dal prestatore estero per la lavorazione (vale a dire, autofattura sulla base del documento del fornitore estero), la relativa IVA concernente la lavorazione dovrà essere sottratta da quella calcolata in dogana. In caso di mancata presentazione in dogana dell’autofattura relativa al servizio ottenuto, l’IVA si applicherà (in dogana) sul maggior valore delle merci reimportate rispetto al valore calcolato al momento della temporanea esportazione. Tuttavia, in quest’ultima ipotesi, il committente nell’emettere l’autofattura, dovrà non indicare alcuna IVA e annotare la seguente dizione: “IVA assolta in dogana con documento doganale n. XY”.

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