INTRA UE: prova dell’effettiva consegna per la cessione intracomunitaria

La Cassazione conferma la sua posizione di fronte al fenomeno delle frodi fiscali: senza prova dell’effettiva consegna, la cessione non è intracomunitaria e il cedente deve pagare l’IVA

Con sentenza n. 13457 del 27 luglio 2012, la Cassazione ha stabilito che la società che effettua cessioni intra UE deve dimostrare che la merce è stata effettivamente consegnata all’estero, altrimenti rischia di dover pagare l’IVA.

La controversia nasce da un ricorso proposto da una nota società nazionale che si è opposta alle contestazioni dell’Amministrazione finanziaria, che aveva recuperato l’IVA su operazioni di cessione merci effettuate dalla società italiana verso una società francese, sulla base del presupposto che, difettando la prova dell’effettivo spostamento delle merci dal territorio nazionale, la società nazionale non potesse avvalersi del regime di non imponibilità ex art. 41, co.1 DL 331/1993 (cessioni intra UE).

Per il riconoscimento della non imponibilità per le cessioni intra UE, il cedente deve provare che i beni siano stati effettivamente trasportati o spediti nel territorio di un altro Stato membro, non basta la conferma della validità della partita IVA estera (art.50, co.1 e 2 DL 331/1993) e di averla indicata in fattura, essendo questi adempimenti di natura formale, per “agevolare il successivo controllo ed evitare atti elusivi o di natura fraudolenta”.

Utilizzando i principi comunitari (rif. sentenze Corte di giustizia UE, sentenze 27/09/2007, causa C-409/04, Teleos, punto 42 e causa C-184/05, Twoh International, punto 23), la Cassazione stabilisce che:

  • se è legittimo che i provvedimenti adottati dagli Stati membri tendano a preservare il più efficacemente possibile i diritti dell’Erario, essi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine (punto 52, sentenza Teleos – questo in generale è proprio il caso dell’Italia);
  • non sarebbe contrario al diritto UE esigere che il fornitore adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad una frode fiscale (punto 65);
  • le circostanze che il fornitore ha agito in buona fede, che ha adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere e che è esclusa la sua partecipazione ad una frode costituiscono elementi importanti per determinare la possibilità di obbligare tale fornitore ad assolvere l’IVA a posteriori (punto 66).

Sul grado di diligenza richiesto al cessionario, secondo la Cassazione (v. anche sentenza n. 10414/2011) si deve avere riguardo a requisiti non formali, ma sostanziali, senza “ovviamente pretendere un inesigibile dovere di accurata indagine, ma fondandosi su quegli elementi obiettivi (es. assenza di strutture) che non possono sfuggire ad un contraente onesto che operi in un determinato settore commerciale e che in particolare non devono sfuggire ad un imprenditore mediamente accorto”.

IVA: aliquota ordinaria sulle cessioni di fruttosio chimicamente puro

A seguito di nuove precisazioni dalle Dogane, sulla commercializzazione del fruttosio chimicamente puro  si applica l’aliquota IVA ordinaria nella misura del 21% e non quella ridotta del 10%, dal momento che la voce doganale corrispondente, NC 1702 5000 non è riconducibile ad alcun punto della Tabella A, parte II e III allegate al DPR 633/1972.

E’ quanto viene chiarito dall’Agenzia Entrate con RM 79/E/2012.

Risultano pertanto superate le istruzioni fornite dall’Agenzia Entrate con la precedente RM 422/E/2008, che si basava sempre su accertamenti delle Dogane, e che considerava il prodotto come appartenente alla voce n. 60 della Tabella A, parte III, allegata al DPR 633/1972.

DOGANA: modifiche al regime del transito per adesione Croazia

Fonte: www.cnsd.it

Data: 14/07/2012

Con la Decisione N. 3/2012 del Comitato Congiunto UE-EFTA sul transito comune del 26 giugno 2012 è stata modificata la convenzione del 20 maggio 1987 relativa a un regime comune di transito. La modifica si è resa necessaria in virtù della dichiarazione, da parte della Croazia, di aderire alla convenzione stessa (vedasi in proposito le precisazioni dell’Agenzia delle Dogane fornite con la nota prot. 80086/RU del 28/06/2012, per la quale è disponibile un commento nella newsletter CNSD n. 17/2012).
Per consentire l’utilizzo dei formulari relativi alla garanzia (Appendice III) stampati secondo i criteri in vigore prima della data di adesione della Croazia alla convenzione, è stato fissato un periodo transitorio durante il quale tali stampati potranno continuare a essere utilizzati con alcuni adattamenti fino al termine del dodicesimo mese successivo alla data di applicazione della decisione in oggetto.

Subappalti costruzioni edili: trattamento IVA differenziato se il reverse charge è obbligatorio

Fonte: Eutekne.info

Data: 14/07/2012

Autore: M. Peirolo

Nel settore edile, può accadere che una società italiana effettui, per conto di un soggetto IVA stabilito in un altro Paese UE (ad esempio, la Francia), lavori inerenti la costruzione di un fabbricato non situato in Italia. Può anche verificarsi che la società italiana si avvalga di subappaltatori locali, cioè stabiliti nel luogo di ubicazione dell’immobile in corso di edificazione.
Ai fini IVA, le domande da porsi riguardano essenzialmente l’individuazione del luogo impositivo e, relativamente al rapporto di subappalto, l’applicabilità del meccanismo del reverse charge, con traslazione dell’obbligo impositivo in capo al subappaltatore estero.

Riguardo al primo aspetto, in base all’art. 47 Direttiva n. 2006/112/CE, recepito dall’art. 7-quater, comma 1, lett. a), DPR 633/1972, “luogo delle prestazioni di servizi relativi a un bene immobile (…) è il luogo in cui è situato il bene”.
Non è, tuttavia, il riferimento all’immobile che determina il luogo impositivo, bensì la natura della prestazione in concreto resa. Secondo la Corte di Giustizia (causa C-166/05, Heger), la tassazione nel luogo di ubicazione dell’immobile presuppone, infatti, l’esistenza di un nesso sufficientemente diretto tra la prestazione e il bene.
La stessa Amministrazione finanziaria ha delimitato l’ambito applicativo del criterio territoriale in funzione della “presenza di una relazione concreta ed effettiva con il bene immobile” (RM 48/E/2010 e CM 37/E/2011, § 3.1.1).

Il descritto criterio interpretativo supera la posizione espressa dalla Suprema Corte (sentenza 26 maggio 2010 n. 12834) in ordine al rapporto tra le disposizioni che regolano il presupposto territoriale, da individuare – secondo i giudici di legittimità – in funzione dell’esclusivo riferimento all’immobile. Il criterio del luogo di ubicazione dell’immobile riguarderebbe “tutte le prestazioni di servizi inerenti ad immobili situati in Italia, come si evince chiaramente dal fatto che il legislatore si è premurato di chiarire che sono «comprese» anche le perizie, le prestazioni di agenzia, ecc., proprio per evitare equivoci e per chiarire che la localizzazione dell’immobile determina l’imponibilità in Italia delle prestazioni di servizio di ogni tipo”.

Rispetto al caso in esame, ipotizzando che si sia in presenza di un “nesso sufficientemente diretto” con l’immobile, le prestazioni relative all’immobile ubicato in Francia, rese ad un soggetto passivo francese, si considerano ivi territorialmente rilevanti agli effetti del tributo sul valore aggiunto. Il prestatore italiano, conseguentemente, non è tenuto ad emettere la fattura, siccome il relativo obbligo, ex art. 21, comma 6, del DPR n. 633/1972, è previsto per le sole prestazioni di servizi “generiche” escluse da IVA in Italia ex art. 44 della Direttiva n. 2006/112/CE, recepito dall’art. 7-ter, comma 1, lett. a), del DPR n. 633/1972; quindi, non anche per quelle detassate in base al citato art. 7-quater. L’imposta è assolta in Francia dal committente, soggetto passivo, senza necessità, per l’operatore italiano, di identificarsi direttamente o per mezzo di un rappresentante fiscale.

Riguardo al secondo aspetto, se la Francia si è avvalsa, come l’Italia, della facoltà di traslazione dell’obbligo d’imposta in capo al destinatario del servizio, prevista dall’art. 199, par. 1, lett. a), della Direttiva n. 2006/112/CE, può utilmente richiamarsi la CM 11/E/2007 (risposta 5.1). In tale ipotesi, infatti, è la società italiana che, in quanto debitore d’imposta in luogo del subappaltatore francese, deve identificarsi in tale Paese al fine di assolvere l’imposta.

Riepilogando, se la Francia ha previsto l’obbligo di reverse charge, con una portata applicativa analoga a quella prevista dall’Amministrazione finanziaria italiana, il regime IVA appare il seguente:
– rapporto subappaltatore francese/appaltatore italiano: identificazione IVA in Francia dell’appaltatore italiano con assolvimento, da parte di quest’ultimo, dell’IVA francese;
– rapporto appaltatore italiano/committente francese: IVA francese con reverse charge in capo al committente francese.

Se, invece, la Francia non si è avvalsa della facoltà in parola, ovvero se la portata applicativa del reverse charge differisce da quella prevista dall’Amministrazione finanziaria italiana, è il subappaltatore francese che, in quanto debitore d’imposta, deve assoggettare a IVA la prestazione, territorialmente rilevante in Francia ex art. 47 della Direttiva n. 2006/112/CE. Nel rapporto appaltatore italiano/committente francese resta dovuta l’IVA francese, con reverse charge in capo al committente francese.