IVA: modifiche regime IVA editoria CM 23/E/2014

Dall’1 gennaio 2014 sono cambiate le regole del regime IVA monofase, riservato al commercio dei prodotti editoriali, ex art. 74, co.1, lett. c) DPR 633/1972 (modificato da art.19, co.1, lett. a) DL 63/2013. In tale regime l’IVA viene pagata dall’editore (ovvero dal soggetto che si assume il rischio di realizzazione dell’opera e la sfrutta economicamente)  in relazione:

  • al numero delle copie vendute
  • o in alternativa col metodo di “forfetizzazione della resa”.

L’Agenzia Entrate, con CM 23/E/2014, fornisce indicazioni sulle modalità di applicazione dell’IVA nel settore dell’editoria. In particolare dal 1° gennaio 2014 cambiano:

  • la definizione di supporti integrativi (cd o altri dispositivi sonori o visivi, digitali oppure no, ceduti con prezzo indistinto, ma anche gratuitamente, abbinati al prodotto editoriale e non commerciabili separatamente): essi  sono solo quelli abbinati ai manuali (dizionari compresi) delle scuole di ogni ordine e grado e delle università e ai libri per i disabili visivi. Fuori, quindi, cd e cassette allegati a quotidiani e periodici.
  • l’applicazione dell’aliquota IVA propria di ciascuno dei beni, diversi dai supporti integrativi, ceduti unitamente ai prodotti editoriali, con prezzo indistinto e in unica confezione
  • l’applicazione dell’IVA nei modi ordinari se il costo del bene, diverso dal supporto integrativo, ceduto insieme al prodotto editoriale supera il 50% del prezzo di vendita dell’intera confezione
  • l’abrogazione delle disposizioni per la commercializzazione di libri, quotidiani e periodici, esclusi quelli pornografici, congiuntamente a beni, diversi dai supporti integrativi, funzionalmente connessi

Sotto il profilo soggettivo, il regime è applicabile dagli editori (ovvero dal soggetto che si assume il rischio di realizzazione dell’opera e la sfrutta economicamente).  Se il prodotto proviene (o è trasmesso anche per via telematica) da un altro Paese UE o extra UE, il soggetto passivo tenuto ad applicare il regime speciale è il cessionario o l’importatore che opera in Italia.

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INTRA UE: prova della cessione di una barca RM 71/E/2014

Con RM 71/E/2014, l’Agenzia Entrate ritorna sulla questione della prova delle cessioni intra UE ex art.41 DL 331/1993 (art.138 par.1 Dir. 2006/112/CE), concludendo che se manca il documento di trasporto, è necessario un atto che dimostri, con sufficiente evidenza, che il bene è uscito dal territorio e ha raggiunto il Paese di destinazione.

Come con la precedente RM 19/E/2013, il cedente nazionale può provare la cessione con altri mezzi di prova, diversi dal CMR cartaceo: stavolta, con riferimento al settore della nautica da diporto, una società italiana intende cedere un’imbarcazione da diporto usata ad un cliente soggetto passivo in Francia (non applicando il regime del margine), ex art. 41 DL 331/1993, con trasferimento nel Paese di destinazione effettuato dal cliente UE per proprio conto, ovviamente via mare, e quindi con l’impossibilità di attestare il trasferimento del bene mediante DDT o CMR.

Il cedente IT chiede quindi come poter provare la cessione intra UE, e propone i seguenti mezzi:

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IMPORT: impugnabile la rettifica doganale del valore di merci importate

Fonte: Fisco Oggi

Data: 17/07/2014

Autore: Giurisprudenza delle imposte edito da ASSONIME

La normativa nazionale che prevede due distinti mezzi di ricorso per contestare le decisioni delle autorità non pregiudica né il principio di equivalenza né il principio di effettività

Con la sentenza in rassegna (cause riunite n. C-29/13 e C-30/13), la Corte di giustizia è stata chiamata a pronunciarsi nell’ambito di una controversia in tema di rettifica del valore in dogana di merci importate.
In particolare, nel caso di specie, le autorità doganali nazionali (bulgare) avevano effettuato il controllo delle dichiarazioni di importazione e degli annessi documenti, presentati dalla società ricorrente, nonché proceduto alla verifica delle merci: nel dubbio se il valore dichiarato rappresentasse il prezzo effettivamente pagato o da pagare, le predette autorità avevano prelevato campioni sulle merci e chiesto informazioni supplementari alla società importatrice, che non era stata in grado di rispondere, salvo aggiungere che il contratto di vendita internazionale prevedeva un pagamento differito delle merci.
 
Con separate decisioni, le autorità nazionali avevano fissato un nuovo valore in dogana per una parte delle merci, determinato in applicazione del criterio previsto dall’articolo 30, paragrafo 2, lettera b), del codice doganale comunitario, istituito dal regolamento (Cee) n. 2913/92 del 12 ottobre 1992 (“valore di transazione di merci similari, vendute per l’esportazione a destinazione della Comunità ed esportate nello stesso momento o pressappoco nello stesso momento delle merci da valutare”); sulla base di tale rivalutazione del valore in dogana, dette decisioni avevano disposto una rettifica fiscale ai fini dell’Iva dovuta in aggiunta.
 
Al riguardo, la Corte di giustizia ha ritenuto che una decisione avente a oggetto una rettifica, sul fondamento dell’articolo 30, paragrafo 2, lettera b), del valore in dogana di merci, con conseguente notifica al dichiarante di una rettifica fiscale ai fini Iva, costituisce un atto impugnabile ai sensi dell’articolo 243 del codice doganale comunitario: dal combinato disposto degli articoli 243, paragrafi 1, e 4, punto 5, del medesimo codice, risulta invero che qualsiasi persona ha il diritto di proporre un ricorso avverso ogni decisione adottata dalle autorità doganali relativa all’applicazione della normativa doganale e che la riguarda direttamente e individualmente; le decisioni in esame riguardano, appunto, l’applicazione della normativa doganale (rettifica del valore in dogana di merci) e producono effetti giuridici diretti sulla società importatrice, poiché fanno sorgere a carico di essa un credito Iva a vantaggio dello Stato nazionale.
 
Con un’altra questione portata all’attenzione dei giudici comunitari, si chiedeva se, alla luce dei principi generali relativi al rispetto dei diritti della difesa e dell’autorità di cosa giudicata, l’articolo 245 del codice doganale osti a una normativa nazionale che prevede due distinti mezzi di ricorso per contestare le decisioni delle autorità doganali.
Sul punto, la Corte ricorda preliminarmente che, in base al citato articolo 245, le disposizioni relative all’attuazione della procedura di ricorso sono adottate dagli Stati membri. E, invero, secondo una giurisprudenza costante della Corte (vedi, segnatamente, le sentenze: 30 giugno 2011, causa n. C-262/09; 18 ottobre 2012, causa n. C-603/10), in mancanza di una disciplina dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti riconosciuti ai singoli in forza delle norme di diritto dell’Unione, a condizione, da un lato, che dette modalità non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) e, dall’altro, che esse non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività).
Quanto al principio di effettività, dagli atti di causa emerge che il debitore dell’Erario può proporre un ricorso giurisdizionale contro una decisione delle Autorità doganali anche quando i mezzi di ricorso amministrativo non sono stati esperiti, a meno che il codice di procedura amministrativa o una legge speciale non disponga diversamente; d’altro lato, il debitore dell’Erario ha altresì la possibilità di contestare dinanzi al direttore doganale una decisione di recupero forzoso di un credito pubblico, entro un termine di 14 giorni dalla notifica di tale decisione.
 
La Corte di giustizia ha quindi ritenuto che, da un lato, il principio di equivalenza è rispettato, poiché i due mezzi di ricorso si applicano indipendentemente dalla questione se l’oggetto della controversia risulti dal diritto dell’Unione o dal diritto nazionale; dall’altro, il rispetto del principio di effettività è garantito, in quanto i due ricorsi riguardano due atti amministrativi che sono adottati in fasi diverse della procedura doganale e che sono distinti in relazione al loro oggetto e al loro fondamento giuridico.
 
La Corte ha poi richiamato l’articolo 243, paragrafo 2, del codice doganale comunitario, secondo cui “il ricorso può essere esperito, in una prima fase, dinanzi all’autorità doganale designata a tale scopo dagli Stati membri; in una seconda fase, dinanzi ad un’istanza indipendente, che può essere un’autorità giudiziaria o un organo specializzato equivalente, in conformità delle disposizioni vigenti negli Stati membri”.
Al riguardo, è ribadito che, dalla formulazione di tale disposizione, non risulta che il ricorso dinanzi all’autorità doganale costituisca una fase obbligatoria prima dell’introduzione del ricorso dinanzi a un’istanza indipendente (cfr sentenza 11 gennaio 2001, causa n. C-1/99); spetta al diritto nazionale determinare se gli operatori debbano, in un primo momento, proporre un ricorso dinanzi alle autorità doganali o se essi possano adire direttamente l’autorità giudiziaria indipendente.
Pertanto, l’articolo 243 del codice doganale non subordina la ricevibilità di un ricorso giurisdizionale avverso le decisioni adottate sul fondamento dell’articolo 181-bis, paragrafo 2, del regolamento n. 2454/93, alla condizione che i mezzi di ricorso amministrativo ammessi contro tali decisioni siano stati previamente esperiti.
 
Riguardo al diritto dell’interessato di essere sentito e di sollevare obiezioni, i giudici comunitari hanno rilevato che, sebbene l’articolo 181-bis, paragrafo 2, preveda l’obbligo per le autorità doganali, prima di adottare una decisione definitiva, d’informare la persona interessata dei motivi sui quali tali dubbi sono fondati e di concederle una ragionevole possibilità di manifestare il proprio punto di vista, la violazione di tale obbligo da parte delle autorità doganali non può tuttavia incidere sul carattere definitivo della decisione né sulla qualifica come decisione dell’atto adottato, in quanto esso produce comunque effetti giuridici nei confronti del suo destinatario, comportando la determinazione di un nuovo valore in dogana delle merci e costituendo così una decisione a norma dell’articolo 4, punto 5, del codice doganale; per contro, la violazione del diritto della persona interessata di essere sentita inficia detta decisione di un’illegittimità che può formare oggetto di un ricorso diretto dinanzi a un’autorità giudiziaria indipendente.
 
La Corte ha quindi concluso che, in caso di violazione del diritto dell’interessato di essere sentito e di sollevare obiezioni, spetta al giudice nazionale determinare, tenuto conto delle circostanze particolari della fattispecie sottopostagli e alla luce dei principi di equivalenza e di effettività, se, qualora la decisione adottata in violazione del principio relativo al rispetto dei diritti della difesa debba essere annullata per tale motivo, esso sia tenuto a pronunciarsi sul ricorso proposto contro tale decisione o possa considerare un rinvio della controversia all’autorità amministrativa competente.

DOGANA: nuovo regime di controllo sui prodotti Dual Use

Il Reg. (UE) 599/2014 introduce una serie di modifiche al Reg. (CE) 428/2009, che prescrive per i prodotti a duplice uso (“dual use”) una serie di controlli su esportazione, trasferimento, transito, intermediazione prestati da intermediari residenti o stabiliti nella UE, e in particolare agli Allegati I e II.
L’allegato I Reg. (CE) 428/2009, con l’elenco comune dei prodotti a duplice uso soggetti a controlli nella UE, è aggiornato costantemente per garantire la conformità agli obblighi internazionali di sicurezza e trasparenza e per mantenere la competitività degli esportatori.

Inoltre tale regolamento introduce le autorizzazioni generali di esportazione (AGEU) , che consentono a esportatori stabiliti nella UE di esportare determinati prodotti per determinate destinazioni alle condizioni di tali autorizzazioni.

L’allegato II Reg. (CE) 428/2009 riporta le autorizzazioni generali di esportazione attualmente vigenti nella UE. Al fine di consentire aggiornamenti regolari e tempestivi dell’elenco comune di prodotti dual use o conformemente agli obblighi assunti dagli Stati membri in seno ai regimi internazionali di controllo sulle esportazioni, il nuovo Regolamento conferisce ora alla Commissione UE il potere di adottare atti ex art. 290 del Trattato sul Funzionamento della UE riguardanti la modifica dell’allegato I Reg. (CE) 428/2009 nell’ambito di applicazione dell’articolo 15 di detto regolamento. È di particolare importanza che durante i lavori preparatori la Commissione svolga adeguate consultazioni, anche a livello di esperti.
Al fine di consentire alla UE di adeguarsi prontamente alle mutevoli circostanze in cui essa valuta la sensibilità delle esportazioni nell’ambito delle AGEU, viene inoltre delegato alla Commissione il potere di adottare atti delegati riguardo alla modifica dell’allegato II Reg. (CE) 428/2009 che dispongano l’eliminazione di alcune destinazioni dall’ambito di applicazione delle autorizzazioni generali di esportazione della UE. Dato che tali modifiche dovrebbero essere introdotte solo in quanto si ritenga che determinate esportazioni siano esposte a maggiori rischi e dato che continuare a usare le autorizzazioni generali di esportazione della UE per tali esportazioni potrebbe avere effetti negativi incombenti sulla sicurezza della UE e dei suoi Stati membri, la Commissione può ricorrere a una procedura urgente.