IMPORT: evasione IVA import è reato permanente. Conseguenze

L’evasione IVA all’importazione è reato permanente. 

Segnaliamo questa sentenza della Cassazione, la n. 56264/2017: l’evasione dell’IVA all’importazione (art. 70 DPR 633/72) è reato permanente, la cui consumazione si esaurisce solo quando cessa l’attività diretta a consentire l’illecita circolazione della merce nel territorio dello Stato senza il pagamento dell’IVA; a questo si può aggiungere anche il delitto di truffa aggravata. Quando sussistono artifici e raggiri può essere responsabile anche la società ex DLgs. 231/2001

L’IVA all’importazione va considerata diritto di confine, e l’evasione dell’IVA configura l’illecito ex art. 292 DPR 43/1973 (altri casi di contrabbando); secondo questa sentenza, l’IVA all’importazione, anche se ritenuta tributo interno sostitutivo di un diritto di confine, ha la stessa finalità del dazio doganale, cioè impedire che, acquistando all’estero e importando nella UE, possano essere pregiudicati gli interessi economici e fiscali dello Stato e della UE. Quindi, il reato ex artt. 1 e 70 DPR 633/1972, al pari del reato di contrabbando, è configurabile nei confronti di tutti coloro che, venuti successivamente in possesso della merce che non ha assolto il tributo, ne protraggano l’illegittima circolazione anche con la semplice detenzione, senza che sia possibile distinguere tra gli importatori abusivi iniziali od originari e i detentori nei passaggi successivi.

Nel caso di specie, si parla della sottrazione dei diritti di confine su un’imbarcazione da 2.100.000 € (420.000 € di IVA all’importazione) effettuata tramite l’intermediazione di una società fittizia.

Altri aspetti interessanti:

  • calcolo della prescrizione : trattandosi di reato permanente, la sua consumazione perdura nel tempo perché il tributo grava sulla merce che continua, perciò, a mantenere la sua condizione di illegittimità anche dopo l’introduzione nello Stato. La permanenza cessa in caso di sequestro della merce stessa, facendo questo venire meno la lesione all’interesse protetto. Dalla cessazione della permanenza inizia, quindi, a decorrere il periodo per la prescrizione. La sentenza ha escluso l’illegittimità costituzionale della disciplina della prescrizione prevista specificamente per le persone giuridiche, attesa la “diversa natura che determina la responsabilità dell’ente” (Cass. n. 28229/2016).
  • Contestazione del reato ex art. 640 comma 2 n. 1 c.p (truffa aggravata): in particolare, l’effettivo proprietario e armatore dell’imbarcazione aveva indotto in errore gli ufficiali della capitaneria di porto, il Ministero dei Trasporti, l’INPS e l’IPSEMA, rappresentando falsamente al momento dell’iscrizione sul Registro internazionale la destinazione commerciale del natante, così da ottenere un ingiusto vantaggio patrimoniale connesso alla facoltà di non versare le somme dovute. Essendo tale reato richiamato dall’art. 24 DLgs. 231/2001, ne è derivata anche l’imputazione diretta della società coinvolta nel meccanismo fraudolento. La sentenza ha escluso l’applicabilità del “ne bis in idem”(in tal caso la duplicazione delle sanzioni – in capo al soggetto fisico e alla società) per le evasioni contributive INPS e INAIL da sommarsi a quelle relative alla truffa di cui al DLgs. 231/2001).

 

 

CORTE UE: la consapevolezza dell’evasione fiscale impedisce detrazione IVA

Fonte: Eutekne.info

Data: 22/6/2012

Autore: V. Cristiano

Il contribuente a conoscenza o che avrebbe dovuto conoscere l’«inquinamento» documentale non ha diritto alla detrazione

Con la sentenza 21 giugno 2012, cause riunite C-80/11 e C-142/11, i giudici della Corte di Giustizia riconoscono al soggetto passivo la detrazione dell’IVA, poiché le eventuali irregolarità commesse sono addebitabili direttamente in capo all’emittente della fattura in “odore” di evasione. Specularmente, qualora il contribuente sia a conoscenza o avrebbe dovuto conoscere l’asserito “inquinamento” documentale, ossia solo utilizzato per aggirare il pagamento delle imposte, non ha diritto al recupero dell’IVA mediante detrazione.

La controversia esaminata prende origine nel territorio ungherese, ove l’ordinamento giuridico impone ai soggetti passivi di dotarsi di tutte le misure necessarie per accertarsi della regolarità delle operazioni attraverso le quali si matura il credito IVA. In particolare, secondo l’articolo 35, paragrafo 1, lettera a), della Legge IVA ungherese, il diritto alla detrazione – salva contraria disposizione della legge relativa alle imposte – può essere esercitato solo se si dispone di documenti facenti fede che attestino l’importo dell’imposta a monte. La disposizione aggiunge che sono da considerare tali le fatture, le fatture semplificate e i documenti che sostituiscono le fatture, emessi a nome del soggetto passivo.

E ancora, l’articolo 44, paragrafo 5, della medesima Legge sull’IVA dispone che “l’emittente della fattura o della fattura semplificata è responsabile della veridicità dei dati che figurano nella fattura o nella fattura semplificata. I diritti in materia di imposizione del soggetto passivo che figuri come acquirente nel documento giustificativo non potranno essere messi in discussione ove questi abbia agito con la dovuta diligenza con riferimento al fatto generatore dell’imposta, considerate le circostanze della cessione di beni o della prestazione di servizi”.

In secondo luogo, i Giudici stabiliscono che è prerogativa delle autorità e dei giudici nazionali negare il beneficio del diritto a detrazione ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che lo stesso diritto “è invocato fraudolentemente o abusivamente” (cfr., in tal senso, sentenze Fini H, cit., punti 33 e 34; Kittel e Recolta Recycling, cit., punto 55, nonché del 29 marzo 2012, Véleclair, C-414/10, punto 32).

Possibile disconoscere la detrazione solo per elementi oggettivi

Di conseguenza, è possibile disconoscere al soggetto passivo il beneficio del diritto a detrazione soltanto sulla base di elementi oggettivi: il soggetto passivo, al quale sono stati forniti i beni o i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere (partecipante all’evasione) che tale operazione si collocava all’interno di un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore a monte (cfr. sentenza Kittel e Recolta Recycling, cit., punto 56). Specularmente, la mancata conoscenza o conoscibilità dell’operazione in odore di frode è elemento qualificante per il riconoscimento della detrazione dell’IVA. Infatti, conclude la Corte, “l’istituzione di un sistema di responsabilità oggettiva andrebbe al di là di quanto necessario per garantire i diritti dell’Erario” (cfr., fra tutte, sentenze dell’11 maggio 2006, Federation of Technological Industries e a., C-384/04, Racc. pag. I 4191, punto 32, nonché del 21 febbraio 2008, Netto Supermarkt, C-271/06, Racc. pag. I 771, punto 23).

Spetta infatti, in linea di principio, alle autorità fiscali effettuare i controlli necessari presso i soggetti passivi al fine di rilevare irregolarità ed evasioni in materia di IVA, nonché infliggere sanzioni al soggetto passivo che ha commesso dette irregolarità o evasioni.

EVASIONE IVA SU IMPORTAZIONI: perseguibile anche il detentore delle merci

Si riporta la seguente sentenza in materia di evasione IVA all’importazione

Fonte: Fisco Oggi

Autore: S. Servidio

Data: 16/12/2010

SENTENZA Cassazione 42161 del 29/11/2010

Il reato di evasione dell’IVA all’importazione (articoli 67 e 70 DPR 633/1972) è configurabile non soltanto a carico dei soggetti che hanno importato la merce assoggettata al tributo, ma anche a carico di chi semplicemente la detiene dopo l’importazione.

Il fatto
La vicenda processuale si sviluppa con l’impugnazione in Cassazione della sentenza di Corte d’appello che aveva confermato la condanna di primo grado inflitta a due coniugi per avere contrabbandato alcuni chilogrammi di tabacchi lavorati esteri (TLE) e per avere sottratto gli stessi al pagamento dell’IVA all’importazione (art. 291-bis DPR 43/1973 e art. 70 DPR 633/1972).
Nei ricorsi di legittimità gli imputati denunciavano, tra l’altro:

  1. violazione di legge sulla loro affermazione di responsabilità in quanto sarebbe mancata – sostenevano – la prova effettiva che la merce de qua fosse detenuta da entrambi i coniugi
  2. vizi di motivazione sulla configurabilità del reato di omesso versamento IVA, il quale sussisterebbe soltanto nei confronti dell’operatore dell’importazione, mentre nel caso di specie sarebbe ravvisabile soltanto una “mera detenzione” successiva all’introduzione del bene nel territorio nazionale, perciò esclusa da sanzione.

La decisione della Cassazione
La Corte di cassazione ha respinto il primo motivo (violazione di legge) e accolto il secondo (motivazione insufficiente), rettificando la portata della tesi sostenuta dagli imputati.
Riguardo al primo rilievo, è risultata ineccepibile la motivazione della sentenza impugnata, basata sugli elementi probatori emersi inequivocabilmente a carico degli imputati. Non è, quindi, passibile di censura il ragionamento dei giudici che hanno correttamente ritenuto che la presenza del tabacco rinvenuto nell’abitazione dei coniugi denotava compartecipazione nella detenzione della merce di provenienza estera (peraltro sottratta alla tassazione in importazione).

La sentenza ricostruisce così, in primo luogo, la natura del tributo, osservando che l’IVA dovuta all’importazione costituisce uno dei diritti di confine, “avendo natura di imposta di consumo a favore dello Stato, la cui imposizione e riscossione spetta alla dogana in occasione della relativa operazione d’importazione” (art. 34 DPR 43/1973), che disciplina proprio i diritti doganali e i diritti di confine (Cassazione 6823/1999).

Così, il reato di evasione di questo specifico tributo non è limitato all’ipotesi dell’introduzione della merce nel territorio doganale comunitario, ma si configura in tutti i casi in cui c’è sottrazione all’obbligo di pagamento dei diritti di confine o al compimento delle formalità doganali (cfr Cassazione 16860/2010), considerato che l’articolo 70 della Dir 2006/112/CE prevede che il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esigibile nel momento in cui è effettuata l’importazione dei beni.

Inoltre, prosegue il ragionamento della Cassazione, è proprio la disciplina doganale (artt. 202 e 203 Reg. CE 2913/1992) non prevede come fatto che produce l’obbligazione doganale la sola introduzione della merce nel territorio comunitario: l’obbligazione doganale sorge infatti anche in seguito alla sottrazione al controllo doganale di una merce soggetta a dazi d’importazione.

Sono perciò soggetti alla norma:

  • la persona che ha sottratto la merce al controllo doganale
  • le persone che hanno partecipato a tale sottrazione sapendo o dovendo sapere che si trattava di una sottrazione di merce al controllo doganale
  • le persone che hanno acquisito o detenuto tale merce e sapevano o avrebbero dovuto sapere, quando l’hanno acquisita o ricevuta, che si trattava di merce sottratta al controllo doganale
  • la persona che deve adempiere agli obblighi che comporta la permanenza della merce in custodia temporanea o l’utilizzazione del regime doganale al quale la merce è stata vincolata.

Sul medesimo argomento, la Suprema corte aveva sostenuto (sentenza 19514/2004) che il reato di evasione dell’IVA all’importazione, ex artt. 67 e 70 DPR 633/1972, è configurabile soltanto a carico dei soggetti che hanno importato la merce assoggettata al tributo e non anche di chi semplicemente la detiene dopo l’importazione, atteso che il rinvio espressamente operato ex art. 70 alle disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine è limitato al regime sanzionatorio e non si estende alle altre disposizioni (tra cui la presunzione ex art. 25 DPR 43/1973, in base alla quale, in caso di mancata o inattendibile prova sulla legittimità della provenienza della merce, il detentore è ritenuto responsabile di contrabbando).
Sicché, in applicazione di tale principio, la Corte ha considerato il semplice acquirente responsabile del reato di contrabbando e non anche del diverso reato di evasione dell’Iva all’importazione.

Rimeditando la pregressa impostazione, la Corte penale afferma oggi che il debito dell’IVA all’importazione può sorgere anche successivamente all’introduzione della merce nel territorio comunitario a carico dei soggetti indicati nel Codice doganale comunitario (articolo 203), atteso che l’IVA all’importazione inerisce non alla persona dell’importatore (criterio soggettivo), ma al bene importato (criterio oggettivo). Da qui, “la configurabilità del reato a carico di chi lo detiene dopo l’importazione a seguito della sua irregolare sottrazione al suddetto controllo“.

Privilegiando stavolta la prevalenza del criterio “oggettivo” su quello “soggettivo”, la Cassazione chiama in causa la Corte di giustizia europea la quale, con due pronunce del 2001 (C-66/99) e del 2002 (C-371/99), ha spiegato che la sottrazione alla sorveglianza doganale dcomprende ogni azione od omissione che ha come risultato di impedire all’autorità di frontiera di accedere a una merce sotto sorveglianza doganale e di effettuare i relativi controlli.
In ultima analisi, la Cassazione con la sentenza in esame ha annullato il reato di evasione IVA (art. 70 DPR 633/1972), punendo invece chi “detiene” nel territorio dello Stato un quantitativo di tabacco lavorato estero di contrabbando superiore a dieci chilogrammi convenzionali (art. 291-bis DPR 43/1973).