IVA: subentro nel plafond dopo conferimento di ramo d’azienda

Con la RM 124/E/2011 l’Agenzia delle Entrate stabilisce che nel conferimento di ramo d’azienda il plafond IVA maturato dalla conferente deve essere suddiviso con la conferitaria, subentrante nell’attività di esportazione, sulla base delle operazioni non imponibili che si stima saranno rispettivamente poste in essere.

In particolare, nell’operazione straordinaria di conferimento del ramo d’azienda, se la conferente (per il ramo d’azienda non conferito) e la conferitaria (in relazione al ramo d’azienda in cui subentra) prevedono di effettuare operazioni che attribuiscono lo status di esportatore abituale, il plafond maturato dalla sola conferente prima della operazione straordinaria può essere suddiviso con la conferitaria.

Il trasferimento del plafond non è condizionato al trasferimento di tutti i rapporti con la clientela non residente o, più in generale, di tutte le posizioni creditorie e debitorie relative al ramo d’azienda conferito.

Il diritto a fruire dello speciale trattamento fiscale previsto dalla norma nasce, infatti, dalla situazione obiettiva, ovvero dall’essere esportatore abituale nei limiti quantitativi previsti dalla disciplina:  il conferitario subentra nel plafond per effetto del conferimento del ramo aziendale dedito all’attività di esportazione.

L’Agenzia Entrate aveva ammesso già il trasferimento del plafond nelle ipotesi di conferimento d’azienda o di ramo aziendale, precisando con RM 165/E/2008 che “Il conferimento d’azienda o di ramo aziendale determina il subentro nella posizione di esportatore abituale da parte del conferitario il quale può fruire del plafond maturato dalla conferente quando ricorrono due condizioni:
1) il conferitario continua, senza soluzione di continuità, l’attività relativa al complesso aziendale oggetto di trasferimento, in precedenza svolta dal conferente;
2) il conferitario subentra nei rapporti giuridici (attivi e passivi) relativi ai complessi aziendali conferiti”.

Il fine era di garantire la continuità nello svolgimento dell’attività d’impresa – diretta all’esportazione – da parte del conferitario, tale da giustificare il trasferimento in capo ad esso dello status di esportatore abituale e, quindi, del diritto di avvalersi del trattamento di non imponibilità per i beni/servizi acquistati.

IL CASO SPECIFICO: a seguito dell’operazione straordinaria di conferimento di ramo aziendale,

  • la conferitaria (Newco) subentrerà alla conferente nell’attività di produzione di macchinari;
  • la conferente (società istante) continuerà ad essere controparte contrattuale della clientela estera nonché ad esercitare l’attività di prestazione dei servizi (montaggio, supervisione al montaggio, manutenzione ecc.) nei confronti della stessa clientela.

Gli scambi con la clientela estera avverranno tramite operazioni triangolari (Newco cede alla Società istante – promotore della triangolazione – che a sua volta cede al cliente estero con trasporto all’estero a cura della Newco).

Sia conferente che conferitaria quindi continueranno ad effettuare operazioni che attribuiscono lo status di esportatore abituale:

  • la conferente nei limiti dell’attività di promotore della triangolazione (differenza tra il corrispettivo richiesto al cliente estero ed il corrispettivo addebitatogli da Newco – art. 8, co.2, DPR 633/1972)
  • la conferitaria nei limiti delle cessioni poste in essere nei confronti della società conferente.

In relazione a tale situazione, l’Agenzia ritiene che il plafond maturato dalla conferente possa essere suddiviso con la conferitaria, subentrante nell’attività dedita all’esportazione.

QUANTIFICAZIONE DEL PLAFOND:

  • per la conferitaria sarà il rapporto tra:
    • al numeratore l’ammontare stimato delle operazioni non imponibili che si presume che la stessa porrà in essere nel 2012
    • al denominatore la somma di tale ammontare e dell’ammontare stimato delle operazioni non imponibili che si presume che la conferente porrà in essere nel 2012.
  • Ai fini del calcolo, per le operazioni in cui la conferente assumerà il ruolo di secondo cedente (promotore) in una operazione triangolare, si considererà come ammontare delle operazioni la differenza tra i corrispettivi praticati da ALFA nei confronti dei clienti e i corrispettivi praticati da Newco alla Società interpellante;
  • per la conferente, la restante parte.

Tale metodo consentirà di ripartire tra conferente e conferitaria il plafond maturato nell’anno 2011 dalla Società interpellante, in base all’entità dell’attività di esportazione che sarà effettuata rispettivamente da Newco e dalla Società interpellante nell’anno 2012.

ADEMPIMENTI CONNESSI AL TRASFERIMENTO DEL PLAFOND: nell’atto di conferimento, ALFA indicherà il passaggio del plafond e i criteri di attribuzione dello stesso in parte alla stessa Società e in parte alla conferitaria, che, a sua volta, dovrà indicare l’operazione nella comunicazione di variazione dati ex art. 35, co. 3, DPR 633/1972, compilando il modello AA7/10, quadro D:

  • barrando le caselle (2a e PL) relative al conferimento del ramo d’azienda ed al subentro nella facoltà di acquistare beni e servizi senza pagamento dell’imposta;
  • indicando negli appositi spazi del predetto modello il codice fiscale del soggetto conferente.

Esportazioni con resa EXW: va fatta dogana in Italia

Ex art. 161, par. 5 Reg. (CE) 2913/1992 , Codice Doganale Comunitario, la dichiarazione di esportazione va depositata presso l’Ufficio Doganale preposto alla vigilanza nel luogo in cui l’esportatore è stabilito, oppure dove le merci sono imballate o caricate per essere esportate.

Ex art. 788, par.2 Reg.(CE) 2454/1993, esportatore è colui per conto del quale è fatta la dichiarazione di esportazione e che, al momento della sua accettazione, è proprietario o ha un diritto similare di disporre delle merci (par. 1). Tuttavia, quando la proprietà o un diritto similare di disposizione delle merci appartenga a una persona stabilita fuori della Comunità, si considera esportatore la parte contraente stabilita nella Comunità (par. 2).

Nell’esportazione con resa EXW (franco fabbrica), l’uscita dei beni dal territorio doganale comunitario è curata dal cessionario non residente o da un terzo per suo conto. Secondo i regolamenti sopra citati, la dichiarazione di esportazione deve essere intestata al cedente italiano se il cessionario che cura l’esportazione è extra UE, e in tal caso, va fatta dogana in Italia.

La CM 18/D/2010 (Parte III, par. 3.1) ha confermato l’obbligo di presentare la dichiarazione doganale presso la dogana territorialmente competente rispetto alla sede del cedente: infatti, “il fatto che un esportatore venda la propria merce «ex-works» e che l’acquirente estero sia il soggetto responsabile per il trasporto, non dà diritto a quest’ultimo di decidere il luogo ove presentare la dichiarazione di esportazione il quale deve, quindi, attenersi alla regola secondo la quale la dichiarazione di esportazione deve essere presentata secondo le forme e regole stabilite dalla normativa doganale vigente e quindi presso l’ufficio doganale preposto alla vigilanza nel luogo in cui l’esportatore è stabilito o dove le merci sono imballate o caricate per essere esportate”.

Fare dogana in altri Paesi UE (ad es. in Grecia per merce diretta in Turchia) è quindi contrario alla normativa comunitaria (salvo le operazioni in groupage).

La  CM 18/D/2010 inoltre precisa che:

  1. la dichiarazione di esportazione può essere presentata a un qualsiasi Ufficio doganale situato in Italia; quindi, non necessariamente a quello competente in relazione alla sede del cedente, come richiesto dal Reg.(CE)2913/1992.
  2. l’esportazione compiuta, dal punto di vista doganale, interamente in altro Stato membro non viene registrata nel sistema informatico nazionale AIDA, quindi l’Amministrazione finanziaria non è in grado di verificare telematicamente la conclusione dell’operazione e non può riconoscere la non imponibilità IVA ex art. 8 DPR 633/1972.

Per le esportazioni EXW, la prova dell’avvenuta esportazione richiede che il cessionario non residente compia l’operazione doganale in Italia, altrimenti è meglio ricorrere a un diverso termine di resa, almeno FCA (franco vettore), in modo che il cedente consegni la merce già sdoganata all’esportazione al vettore scelto dall’acquirente .

In merito alla procedura di esportazione prevista ai fini doganali, la CM 35/E/1997 da una diversa indicazione: se, infatti, ai fini doganali, la prova dell’esportazione è data dalla dichiarazione doganale intestata al cedente italiano, ai fini IVA l’Amministrazione finanziaria chiede la vidimazione apposta dall’Ufficio doganale sulla fattura emessa dal cedente, nel presupposto che “il documento di esportazione, munito del visto uscire, resta all’acquirente estero”.

L’esportazione comunque deve chiudersi entro 90 giorni dalla consegna: non rileva in tal senso la data di emissione della fattura, anche se anteriore alla consegna, bensì la data risultante dal documento di trasporto (DDT o CMR).

La non imponibilità, inoltre, essendo collegata al luogo di consumo dei beni in territorio extra UE, opera anche se il cessionario è stabilito in altro Paese membro (CM 13/E/1994, par. B.16.3), ed a tal proposito (sentenza CTP Pescara n. 47 del 2009), non è rimborsabile l’IVA addebitata all’acquirente UE nel convincimento che l’art. 8, co.1, lett. b), DPR 633/1972 sia applicabile solo ad acquirente extra UE.

EXPORT: prova dell’operazione (sentenza Cassazione)

Fonte: Eutekne.info

Autore: L.A. Carello

Data: 27/10/2011

Con la sentenza n. 22233 depositata il 26 ottobre 2011, la Corte di Cassazione ha ribadito che, in caso di operazioni con operatori extra-Ue, “l’esportazione deve risultare da documento doganale o da vidimazione apposta dall’Ufficio”, al fine di comprovare l’uscita della merce dal territorio doganale.

Il caso trae origine dalla contestazione di omessa fatturazione di operazioni imponibili a una società italiana, che, all’epoca dei fatti (1997), aveva intrattenuto rapporti commerciali con una società ungherese, allora esclusa dal territorio UE, avvalendosi di un altro operatore identificato in Italia.

La Corte chiarisce, preliminarmente, che si tratta di un’esportazione triangolare regolata dall’articolo 8, lett. a) DPR 633/1972, la quale si caratterizza per la presenza di un cedente e di un cessionario entrambi residenti nel territorio dello Stato, e di un cessionario residente all’estero e destinatario della merce. In tale contesto, il giudice di merito aveva ritenuto legittimo l’operato della contribuente, la quale aveva considerato non imponibili ai fini IVA le cessioni fatturate alla società ungherese, sul presupposto che le stesse venissero esportate in territorio extra-Ue.

Secondo la Cassazione, la tesi del giudice di merito risulta carente, in quanto si poggia sul presupposto del diritto al rimborso che spetterebbe alla società cessionaria e alla conseguente mancanza di danno erariale derivante dalla non applicazione dell’IVA nelle fatture emesse dalla ricorrente. La Suprema Corte, intervenendo sul punto, nel richiamare il principio contenuto nell’articolo 8, comma 1, lettera a) DPR 633/1972, evidenzia come la norma, così come strutturata, prescinda dalla posizione del cessionario non residente e ponga precisi obblighi individuabili in capo all’operatore residente, tra cui la cura del trasporto dei beni e la presentazione in dogana delle fatture (su tale procedura, si veda la nota Agenzia delle Dogane n. 3495/2007).

Di conseguenza, solo qualora nelle fatture relative alla merce destinata all’esportazione, intestate al cessionario residente nel territorio dello Stato, risulti la vidimazione dell’Ufficio Doganale comprovante l’uscita dei beni dal territorio doganale, si devono ritenere sussistenti le condizioni richieste dalla legge per qualificare l’operazione come cessione all’esportazione esente da imposta (v. Cass. n. 5065/1998).
Non risultando i prescritti documenti nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto che l’esportazione fosse eseguita dal cessionario destinatario dei beni, con conseguente disapplicazione del regime di non imponibilità ex art.8, co. 1, lett. a) DPR 633/1972, a nulla rilevando il fatto che la merce effettivamente abbandonasse il territorio comunitario.

Per l’esportazione triangolare, sanzione pari al 100% dell’imposta evasa

Sotto altro profilo, la sentenza della Cassazione in commento si pronuncia anche in tema di sanzioni. Ricordando che lo schema negoziale tipico di un’esportazione triangolare si caratterizza per la presenza di due operatori residenti e un cessionario non residente destinatario finale della merce, la Corte ritiene applicabile al caso di specie la norma sanzionatoria prevista dall’articolo 6, comma 8, del DLgs. 472/1997, in ossequio al principio del favor rei introdotto dall’art. 3 del DLgs. 472/1997. In caso di omessa auto-fatturazione da parte del cessionario o committente, risulta quindi dovuta una sanzione pari al 100%  dell’imposta evasa. Rispetto alla disposizione contenuta nell’abrogato articolo 41 del DPR 633/1972, tale sanzione risulta più lieve, atteso che l’abrogata disposizione richiedeva, oltre al pagamento della sanzione, anche l’imposta evasa.

PLAFOND: status di esportatore abituale anche senza dichiarazione annuale IVA

L’esportatore abituale non perde il diritto ad effettuare acquisti senza applicazione dell’IVA se ha omesso di presentare la dichiarazione IVA per l’anno precedente, ma può comunque dimostrare di aver compiuto l’anno prima le operazioni  che gli attribuiscono lo status di esportatore abituale. Lo ha stabilito la C.T. R. di Torino, con sentenza  69/26 del 22 settembre 2011.

Ex art. 8, co.1, lett. c), e co.2, DPR 633/1972, gli esportatori abituali possono effettuare acquisti di beni e servizi nello Stato e importazioni di beni dall’estero senza applicazione dell’IVA, a condizione che i beni acquistati siano destinati ad  essere esportati come tali o previa trasformazione, lavorazione e simili e che i servizi siano inerenti a tali operazioni. Tale beneficio della non applicazione dell’IVA spetta entro un plafond, costituito dall’ammontare complessivo delle operazioni con l’estero (esportazioni  dirette  e  indirette, operazioni assimilate, servizi internazionali e operazioni intracomunitarie) che l’esportatore abituale ha registrato:

  • per  l’anno solare precedente (plafond fisso),
  • oppure, su opzione, per i dodici mesi precedenti (plafond mobile).

Per potersi avvalere del regime di non imponibilità sugli acquisti, nel limite del plafond, è necessario:

  • lo status di esportatore abituale se, ex art. 1 DL 746/1983, l’ammontare dei corrispettivi delle cessioni all’esportazione effettuate (art.8 lett. a) e b) DPR 633/1972), registrate nell’anno precedente, è superiore al 10% del volume d’affari  escluse le cessioni di beni in transito o depositati nei luoghi soggetti a vigilanza doganale;
  • che il contribuente che intende avvalersi della facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione dell’imposta consegni o spedisca al fornitore o prestatore una dichiarazione d’intento.

Nel caso specifico oggetto della sentenza, l’Ufficio aveva emesso un avviso di accertamento nei confronti di un contribuente che aveva effettuato acquisti in regime di non imponibilità, ma non aveva presentato la dichiarazione annuale IVA relativa all’anno precedente, da cui si sarebbe potuto desumere il possesso dei requisiti per qualificarsi come esportatore abituale: l’Amministrazione finanziaria, pertanto, aveva disconosciuto il diritto a effettuare tali acquisti in regime di non imponibilità e aveva così determinato la maggiore IVA dovuta.

Il contribuente impugnava l’accertamento, allegando documentazione consistente in un elenco riepilogativo delle cessioni intracomunitarie effettuate l’anno precedente, rilasciato dall’Agenzia delle Dogane, dimostrando con tale materiale probatorio, di aver effettuato l’anno prima le operazioni necessarie a consentirgli di assumere la qualifica di esportatore abituale e di poter beneficiare, quindi, del regime di non imponibilità sugli acquisti dell’anno accertato: tale tesi veniva accolta dalla C.T.P. (primo grado).

L’Ufficio ricorre in appello, affermando che il diritto all’utilizzo del plafond IVA spetta solo ai soggetti che, oltre ad essere in possesso dei requisiti sostanziali, abbiano anche adempiuto alle formalità richieste dalla legge, tra cui la presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno precedente a quello a cui si riferisce l’utilizzo del plafond.

La C.T.R. (secondo grado) non ha condiviso tale assunto, stabilendo che la mancata presentazione della dichiarazione IVA dell’anno precedente non esclude dal beneficio in oggetto, e riferendosi a una sentenza della Cassazione (sentenza n. 9028/2011) che stabilisce che la sussistenza del diritto ad effettuare acquisti in regime di non imponibilità deve desumersi dal comportamento “concreto” del contribuente, purché verificabile.

Nel caso di specie, lo stesso Ufficio aveva accertato il volume d’affari del contribuente nell’anno precedente; inoltre, dalla documentazione rilasciata dall’Agenzia delle Dogane si desumeva l’ammontare complessivo delle operazioni rilevanti ai fini del plafond: in base a  tali dati, risultava chiaramente che il contribuente nell’anno precedente aveva effettuato cessioni intracomunitarie per il 47,42% del suo volume d’affari, dandogli così la qualifica di esportatore abituale per l’anno dopo (oggetto di accertamento).

Si precisa però che il riferimento alla sentenza della Cassazione fatto dalla C.T.R. di Torino parla di una fattispecie diversa rispetto all’omessa presentazione della dichiarazione IVA dell’anno prima: la Cassazione infatti, con tale pronuncia, ha solo stabilito che l’opzione per il plafond mobile, se omessa nel quadro VC della dichiarazione annuale IVA, può comunque desumersi per comportamento concludente.