Imponibilità IVA per le cessioni di beni in regime doganale sospensivo

Fonte: Eutekne.info

Autore: V. Cristiano

Data: 23/05/2012

Secondo l’Avvocato generale, il diritto UE non esclude l’imponibilità in caso di compravendita di merci poste, e destinate a rimanere, in tale regime

L’Avvocato generale presso la Corte di Giustizia, nel procedimento C-165/11 del 22 maggio 2012, interviene su una problematica quantomai attuale che investe i regimi sospensivi IVA. In particolare l’Avvocato, dopo essersi soffermato sull’ordinario meccanismo che regola il deposito doganale, si sofferma su un aspetto centrale, ossia “cosa succede […] qualora tale prodotto […] sia venduto da un’impresa dell’Unione a un’altra impresa dell’Unione, pur rimanendo fisicamente nello stesso luogo e, giuridicamente, in regime sospensivo”. L’interrogativo che viene posto concerne l’applicabilità o meno dell’IVA in dette ipotesi.

Il fatto

Il fatto in controversia riguarda alcuni semilavorati in acciaio (bobine) importati dall’Ucraina per conto di una società slovacca e collocati in Slovacchia in regime sospensivo. Le merci sono state inizialmente collocate in regime di deposito doganale, e poi, al fine di essere trasformate in profilati d’acciaio, in regime di perfezionamento attivo. Successivamente le merci, “pur non abbandonando mai il luogo in cui si trovavano”, sono state vendute ad un’altra società slovacca e collocate nuovamente in regime di deposito doganale.
Le Autorità fiscali slovacche hanno richiesto il pagamento dell’IVA relativa alla vendita intercorsa tra le due società slovacche, configurandosi la medesima come una normale cessione di beni soggetta ad imposta.

Investito della questione, l’Avvocato generale ha innanzitutto evidenziato i presupposti di pagamento dell’IVA, indicando che l’imposta è dovuta qualora ricorrano tre condizioni cumulative. Ai sensi dell’articolo 2 della sesta Direttiva, l’operazione deve essere, in primo luogo, una cessione di beni effettuata a titolo oneroso; in secondo luogo, la cessione deve essere stata effettuata da un soggetto passivo che agisce in quanto tale. E, da ultimo, l’operazione deve essere stata effettuata all’interno del territorio dell’Unione, come definito dall’articolo 3 della Direttiva medesima.
Nel caso sottoposto, l’Avvocato non contesta l’esistenza delle prime due condizioni ma, piuttosto, sposta l’oggetto d’indagine sul terzo presupposto. Ossia, se anche la terza condizione sia realizzata.

Secondo l’Avvocato generale, l’imposta è dovuta, giacché “nel diritto dell’Unione non esiste alcuna norma che permetta di escludere l’obbligo di pagamento dell’imposta nel caso di compravendita di merci poste – e destinate a rimanere – in un regime doganale sospensivo”.

La conclusione cui perviene l’Avvocato generale passa attraverso una considerazione di diritto ineccepibile: le norme doganali e quelle in materia di IVA costituiscono due corpi normativi fondamentalmente distinti, con la conseguenza che il fatto che un certo bene goda di un regime “privilegiato” in diritto doganale non significa che debba automaticamente godere di un trattamento di favore ai fini dell’IVA, e viceversa.

La compravendita costituisce cessione di beni all’interno dell’Ue

Anche l’ulteriore passaggio normativo dell’Avvocato è interessante. La sesta Direttiva indica esplicitamente le parti di territorio degli Stati membri alle quali il regime IVA non si applica, e tra esse non rientrano i depositi doganali. Ne discende che il fatto che i beni ceduti nell’ambito della controversia in commento si trovassero fisicamente in un deposito doganale è irrilevante ai fini dell’IVA, “allo stesso modo in cui è irrilevante, a tale proposito, il fatto che detti beni siano oggetto di un regime doganale sospensivo”.

Logica conclusione di quanto esposto, a giudizio dell’Avvocato generale, è che la compravendita realizzata nel caso esaminato costituisce una cessione di beni localizzata all’interno del territorio dell’Unione, soggetta come tale all’obbligo di pagamento dell’imposta. Tale interpretazione trova conforto nell’articolo 16 della sesta Direttiva, secondo cui gli Stati membri possano esentare dall’IVA alcune operazioni, “tra le quali anche le cessioni di beni che si trovano in un regime doganale sospensivo e che continuano a trovarsi in un tale regime dopo la cessione”. In altri termini, la sesta Direttiva parte dal presupposto che una compravendita di merce che si trova in regime doganale sospensivo è normalmente soggetta ad IVA, e può essere esentata soltanto se gli Stati membri decidono di concedere un’esenzione.

Regime Margine IVA: senza zelo non ha supporti su cui poggiare

Fonte: FiscoOggi

Data: 16/04/2012

Autore: S. Servidio

La responsabilità del cessionario, per l’omessa verifica sul cedente e sul suo operato, deve essere valutata alla stregua del particolare onere di diligenza a suo carico

Con ordinanza del 3 aprile, n. 5309, la Corte di cassazione ha stabilito che, in tema di IVA intracomunitaria sull’acquisto di vetture, il regime del margine presuppone la mancata detrazione all’acquisto da parte del cedente, condizione la cui assenza (o difetto di prova della sussistenza) comporta l’inapplicabilità del regime agevolato indipendentemente dalla consapevolezza del cessionario.

Il fatto
La vicenda nasce dalla contestazione, da parte dell’ente impositore a una società di commercio di automobili (cessionaria), dell’omessa regolarizzazione delle fatture ricevute da una Srl (cedente). Ciò in quanto, nel caso concreto, non sussistevano i presupposti soggettivi per l’applicazione del regime agevolato IVA (cosiddetto del margine), il quale comporta la non applicazione del tributo sui relativi acquisti, come previsto dagli articoli 36 e 37 del Dl 41/1995.
La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, il cui esito veniva confermato dal giudice di appello, il quale adduceva che, in presenza della regolarità delle fatture emesse, la società acquirente non era tenuta a spingere il proprio sindacato valutazionale sui presupposti di fatto e diritto per fruire o meno dell’agevolazione IVA. Aggiungeva, inoltre, che l’indisponibilità di elementi di verifica sul cedente portava a escludere qualsiasi violazione fiscale a carico della società acquirente (la venditrice aveva, infatti, attestato con dichiarazione poi rivelatasi non veritiera, di aver adempiuto agli obblighi IVA sull’acquisto intracomunitario di veicoli).
L’ufficio impugnava per cassazione la decisione della commissione del riesame per violazione della normativa sul regime del margine.

Regime del margine
Preliminarmente occorre ricordare che gli articoli da 36 a 40-bis del Dl 41/1995, disciplinano organicamente, ai fini IVA, il commercio di beni mobili usati, tra cui autovetture, autocaravan, eccetera.
Tale normativa ha introdotto un regime speciale di applicazione dell’Iva, detto anche “regime del margine”, in ottemperanza a specifica direttiva comunitaria (articolo 32 della direttiva 77/388/Cee del 1977), allo scopo di evitare fenomeni di doppia o reiterata imposizione per i beni usati che, usciti dal circuito commerciale, vengono successivamente ceduti a un soggetto passivo di imposta che intende rivenderli.
Nel regime normale, il margine su cui applicare l’imposta è dato dalla differenza tra il prezzo di acquisto, anche intracomunitario, del bene usato e quello di vendita. Conseguentemente, la relativa imposta non è detraibile.
Nell’ipotesi di cessione di autovetture, affinché il regime del margine sia operante, è necessario che il mezzo sia stato acquisito dal cedente senza applicazione dell’Iva e, cioè, in particolare, quando è stato acquistato, tra gli altri, presso soggetti passivi che non hanno potuto detrarre l’Iva all’atto dell’acquisto o dell’importazione, ovvero soggetti che beneficiano nel proprio Stato membro del regime di franchigia previsto per le piccole imprese o, ancora, quelli che a loro volta hanno assoggettato la cessione al regime del margine.
In questo caso, all’atto della cessione dell’autovettura, l’Iva andrà scorporata dalla differenza tra prezzo di vendita dell’autovettura e prezzo di acquisto della stessa, la cui fattura va emessa con la seguente dicitura “Operazione soggetta al regime del margine di cui all’articolo 36 del Dl 41/95 e successive modificazioni”.

La decisione
La Corte suprema accoglie in pieno il ricorso dell’Amministrazione finanziaria in quanto la sentenza impugnata, che è incorsa altresì in carenza di motivazione, ha puntualmente disatteso consolidati principi di legittimità vigenti riguardo all’applicazione dell’Iva intracomunitaria sull’acquisto di autovetture.
In particolare, la giurisprudenza di riferimento ha stabilito che, in tema di Iva, nelle operazioni di vendita di autoveicoli soggette al regime del margine, la responsabilità del cessionario per l’omessa verifica della regolarità sostanziale della fattura, riguardo alla qualifica del cedente, deve essere valutata alla stregua del particolare onere di diligenza a suo carico, avendo tale regime quale presupposto, oltre a requisiti oggettivi (attinenti alla natura del bene compravenduto), anche taluni requisiti soggettivi riguardanti l’originario cedente e agevolmente desumibili, di regola, dai libretti di circolazione (Cassazione 3427/2010).
L’assunto ha, poi, trovato successiva conferma nella pronuncia n. 2227/2011, nella quale la Corte suprema ha deciso che il regime del margine presuppone la mancata detrazione dell’Iva all’acquisto da parte del cedente, condizione la cui assenza (o il difetto della prova da parte del cessionario della sua sussistenza) comporta l’inapplicabilità del regime in questione, indipendentemente dalla consapevolezza che di essa abbia avuto il cessionario, potendo eventualmente tale difetto incidere solo sull’aspetto sanzionatorio.
In tali casi, la responsabilità del cessionario è fatta discendere dagli ordinari canoni di correttezza e buona fede di cui agli articoli 1377 e 1375 del codice civile, in virtù dei quali il cessionario è tenuto al controllo (anche) dei libretti di circolazione dei veicoli, al fine di osservare gli ordinari criteri di prudenza nel non svolgere transazioni commerciali con soggetti che non hanno assoggettato a imposta i loro acquisti (Cassazione 3427/2010).
Principi troppo facilmente sfuggiti alle Commissioni di merito.

Corte UE: regime IVA ordinario sul servizio di semplice trasporto

Fonte: Fisco Oggi

Data: 13/04/2012

Autore: A. De Angelis

Oggetto di intervento da parte dei giudici comunitari, il regime speciale riconosciuto dalla direttiva Iva alle agenzie di viaggio ma non applicabile al caso in questione

La domanda di pronuncia pregiudiziale prende le mosse dal ricorso presentato da una società di trasporto di persone contro un avviso di accertamento relativo all’indebita detrazione Iva sui servizi di trasporto passeggeri. L’Amministrazione finanziaria cecoslovacca contestava alla società ricorrente l’applicazione, ai propri servizi di trasporto, del regime speciale IVA riservato, dalla direttiva Iva, alle agenzie di viaggio. Alla stregua di quanto previsto dall’articolo 104, paragrafo 3, primo comma del regolamento di procedura, la decisione della Corte è stata pronunziata con ordinanza in quanto chiaramente desumibile dalla giurisprudenza della Corte.

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Il procedimento principale
La società ricorrente svolge un’attività di trasporto persone nell’ambito del territorio della Repubblica ceca e nel territorio comunitario. Tale attività viene svolta attraverso pullman propri o tramite subfornitori nella forma di autonome società di trasporto assoggettate al regime dell’Iva. Quanto alla clientela, è composta da agenzie di viaggio. Nel fatturare il servizio di trasporto, svolto con l’ausilio delle società subfornitrici, la società ricorrente include l’Iva e provvede a inoltrare una richiesta di rimborso dell’eccedenza, rispetto a quella versata, come disposto nella normativa Iva. Nel corso degli anni si sono verificate eccedenze di imposta piuttosto ingenti che la società ricorrente ha provveduto a detrarre. Ma l’ufficio delle Finanze di Praga ha contestato tali ingenti detrazioni ritenendo che  la società fornisse prestazioni di viaggio da assoggettare al regime speciale Iva. A tale proposito veniva emesso un avviso di accertamento contro cui era proposto ricorso.  Un ricorso respinto anche dal Tribunale municipale di Praga e che induceva la società ricorrente a presentarlo per cassazione. Il giudice nazionale, nutrendo dubbi sulla corretta interpretazione sull’articolo 306 della direttiva Iva che prevede un regime speciale per le agenzie di viaggio, decideva di sospendere il procedimento per sollevare la questione alla Corte di Giustizia comunitaria.
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La questione pregiudiziale
La vera questione affrontata dalla Corte, seppure nel testo sia stata posta un’altra questione ritenuta ininfluente ai fini della pronuncia finale, mira a stabilire se una società di trasporto, come quella di cui alla causa principale, ovvero che offra servizi di trasporto tramite pullman alle agenzie di viaggio senza fornire altri servizi, rientri nel regime speciale Iva che l’articolo 306 della direttiva Iva riserva alle agenzie di viaggio.
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Sulla questione pregiudiziale
A parere della Corte, la presente questione pregiudiziale può essere risolta con una ordinanza motivata, in luogo di una sentenza, in quanto alla fattispecie principale si può applicare la giurisprudenza relativa alla nozione di agenzia di viaggio. Ecco quindi come il regime speciale richiamato, ai fini Iva, ex articolo 26 della sesta direttiva Iva è quello che si applica alle agenzie di viaggio nonché agli organizzatori di tour turistici. Secondo passata giurisprudenza della Corte stessa, il riferimento è alle sentenze Van Ginkel, la fattispecie che vede le agenzie di viaggio fornire soltanto ed esclusivamente alloggi per vacanza non inficia l’applicazione del regime speciale Iva per le stesse agenzie. Seguendo un’altra considerazione dei giudici della sesta sezione della Corte europea, inoltre, le ragioni sottese al regime speciale Iva esulano dalla qualifica del soggetto quale agenzia di viaggio. In altri termini i giudici sottolineano che a rilevare è la tipologia di servizio prestato, che deve essere analogo a quello erogato dalle agenzie di viaggio, a prescindere dalla qualificazione soggettiva dell’operatore. Come già affermato nella già richiamata sentenza Van Ginkel, però, l’applicazione del regime speciale richiede che l’operatore esegua, oltre al semplice trasporto, anche altri servizi aggiuntivi, seppur di carattere accessorio alla prestazione principale. Quanto alla società ricorrente che svolge esclusivamente attività di trasporto, senza offrire alcun servizio aggiuntivo, non rientra nelle condizioni richieste per usufruire del regime Iva speciale previsto dall’articolo 306 della sesta direttiva Iva.
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L’ordinanza
Alla luce delle argomentazioni dei giudici della Corte di Strasburgo e, in considerazione della precedente giurisprudenza pertinente, previo parere dell’avvocato generale, la Corte, considerata anche la richiesta di rinvio operata dal giudice nazionale, ha risolto la questione pregiudiziale con un ordinanza motivata. Una società di trasporto, che non fornisca servizi ulteriori rispetto a quello di trasporto passeggeri, non svolge un’attività per la quale si applica il regime speciale Iva. Tale regime, infatti, è previsto per le sole agenzie di viaggio come disposto dall’articolo 306 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006.

INTRA UE: ricambi auto usate, no al regime del margine

Fonte: Fisco Oggi

Autore: M. Maiorino

Data: 07/03/2011

IL FATTO

Una società bulgara si occupa della rivendita di veicoli di seconda mano. In seguito a un accertamento effettuato dall’Amministrazione finanziaria bulgara, la società, proponendo ricorso giurisdizionale al tribunale amministrativo, rilevava che i beni in questione non rientravano nella nozione di beni di occasione come previsto dalla disciplina bulgara sull’IVA. Questa caratteristica comportava l’inapplicabilità alla fattispecie della disciplina prevista per tali beni.
La società adduceva inoltre che la sua situazione non era riconducibile al regime del margine che a suo modo di vedere, non troverebbe applicazione per le cessioni di beni importati dal soggetto passivo rivenditore. Ne deriva che essa sarebbe autorizzata ad avvalersi del diritto al credito di imposta secondo le condizioni previste dalla normativa bulgara.
Ciò posto, il tribunale amministrativo ha ritenuto che la società istante si fosse regolarmente avvalsa del diritto al credito di imposta relativo alle importazioni effettuate. La decisione riposa sulla considerazione che i beni importati non fossero beni di occasione, posto che costituivano beni generici e non designati individualmente tramite caratteristiche che consentono di distinguerli da altri oggetti dello stesso genere.
Pertanto, l’Amministrazione finanziaria ha presentato ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha sottoposto alcune questioni al vaglio pregiudiziale della Corte di Giustizia.

NORMATIVA COMUNITARIA
La Direttiva CE 2006/212 (artt. 311 e segg.), reca la disciplina dei regimi speciali applicabili ai beni di occasione e agli oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato.
Tale disciplina prevede che gli Stati membri applichino alle cessioni di tali beni effettuate da soggetti passivi rivenditori un regime speciale di imposizione del margine realizzato dal soggetto passivo rivenditore.
Inoltre, per ciascuna cessione per cui è ammesso il regime del margine, il soggetto passivo rivenditore può applicare il normale regime IVA.
Ex art. 320 Direttiva, il soggetto passivo che applica il regime normale dell’IVA alla cessione di tali beni da lui importati, ha il diritto di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore, l’IVA dovuta o assolta all’importazione del bene.

NORMATIVA DEL PAESE UE (Bulgaria)
In base al combinato disposto degli articoli 54 e 68 della legge bulgara sull’IVA il credito d’imposta è l’importo che un soggetto IVA può detrarre dal suo debito fiscale, tra l’altro, per una importazione da essa effettuata.
La disciplina fiscale nazionale dettata in relazione al regime fiscale del margine prevede che questo regime si applica in relazione alla cessione effettuata da un rivenditore, per beni di occasione, oggetti d’arte, oggetti da collezione, e di antiquariato che gli sono stati ceduti  all’interno dello Stato o che gli sono stati ceduti provenendo dal territorio di altro Stato membro da parte di una serie di soggetti elencati nell’articolo 143 della normativa IVA.
La disciplina nazionale prevede che i beni d’occasione sono beni mobili di seconda mano, individualmente identificati, suscettibili di reimpiego nello stato originario o previa riparazione per la finalità per la quale sono stati creati.

RICHIESTE DEL GIUDICE DEL RINVIO
Il giudice ‘a quo’ nutre dubbi in ordine alla qualificazione dei beni oggetto della controversia come beni di occasione. Ciò accade perché la normativa bulgara, contrariamente alla disciplina comunitaria, prevede che i beni d’occasione debbano essere individualmente identificati. Chiede pertanto di conoscere se la nozione di beni d’occasione, come definita dalla Direttiva 2006/112/CE, comprenda anche beni mobili d’occasione che non siano individualizzati in modo tale da distinguersi da altri beni dello stesso genere, determinati secondo caratteristiche generiche.
Nell’ipotesi in cui i beni in esame siano ascrivibili alla categoria dei beni d’occasione, chiede di conoscere, tra l’altro, se il regime fiscale del margine sia applicabile alla fattispecie in esame.

VALUTAZIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE
La Corte di Giustizia non affronta la questione relativa all’esatta individuazione della qualificazione dei beni di occasione, ritenendo la questione assorbita da quella relativa alla applicabilità alla fattispecie in esame del regime del margine.
Al riguardo, la Corte di Giustizia è chiamata a verificare se l’articolo 314 Direttiva 2006/112/CE  debba essere interpretato nel senso che il regime del margine sia applicabile a cessioni di beni di occasione che il soggetto passivo IVA rivenditore ha importato nell’Unione.
La Corte osserva che l’ambito applicativo dell’articolo 314 è limitato alla rivendita di beni di occasione, oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione precedentemente ceduti al soggetto passivo rivenditore nella UE. Viene altresì evidenziato che il regime del margine costituisce una eccezione al regime generale ex Direttiva 2006/112/CE e che in quanto regime particolare non può essere applicato al di fuori dei limiti necessari al raggiungimento del suo obiettivo, che consiste nell’evitare la doppia imposizione e le distorsioni di concorrenza tra soggetti passivi nel settore dei beni di occasione.
Occorre pertanto verificare se nel caso di specie sussista quel rischio di doppia imposizione che giustifichi l’applicazione del regime del margine.
Al riguardo la Corte osserva che detto rischio non si presenta laddove, come avviene nella fattispecie in esame, un soggetto passivo rivenditore rivenda beni da egli stesso importati, in regime normale di IVA nello Stato membro in cui effettua tali operazioni, ed esercita il diritto a detrarre l’IVA assolta per tali beni importati.
Come del resto già ribadito in fase di relazione della direttiva in esame, è la stessa esistenza del diritto alla detrazione in capo al soggetto passivo a escludere il rischio della doppia imposizione, che abitualmente invece giustifica l’applicazione del regime del margine.
Pertanto, alla luce della ritenuta inapplicabilità al caso di specie del regime del margine, la Corte ritiene assorbita la connessa questione relativa alla esatta individuazione della nozione di bene d’occasione, ex articolo 311 della direttiva.

CONCLUSIONE
La Corte ritiene che l’articolo 314 della direttiva deve essere interpretato nel senso che il regime del margine non è applicabile alle cessioni di beni quali i pezzi di seconda mano per gli autoveicoli, che il soggetto passivo rivenditore ha importato nell’Unione in regime normale dell’IVA.