IVA: Contribuente libero sulle modalità di recupero

Fonte: Eutekne.info

Data: 15/05/2012

Autore: V. Cristiano

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7330/2012, avalla definitivamente il principio secondo cui la mancata attivazione della (speciale) procedura di variazione dell’IVA non vìola il diritto al rimborso da parte del contribuente, il quale gode dell’assoluta libertà di scelta circa l’azione da effettuare.

I giudici, aderendo a una consolidata giurisprudenza in materia, hanno ribadito il principio in forza del quale, in tema di IVA, nelle ipotesi in cui l’imposta sia stata calcolata, per ignoranza o falsa conoscenza delle disposizioni applicabili, sulla base di un’aliquota superiore a quella effettivamente dovuta, l’art. 26 del DPR 633/1972 deve essere interpretato nel senso che la mancata attivazione della procedura speciale di variazione dell’imposta e dell’imponibile, prevista dalla norma citata, da un lato fa venir meno il diritto a recuperare l’imposta mediante il meccanismo della detrazione ma, dall’altro, non preclude la chance di ottenere il rimborso della maggiore imposta versata (indebitamente), poiché tale procedura si configura quale strumento a disposizione del contribuente, “che potrebbe pertanto optare, del tutto legittimamente, per l’azione generale di rimborso prevista dalle norme sul contenzioso”.

Tanto premesso, secondo i Giudici, non “coglie nel segno” neppure il richiamo alla giurisprudenza comunitaria più recente operato dalla controparte (Corte di giustizia 18 giugno 2009, causa C-566/07, Stadeco). Con puntuale e argomentata ricostruzione, la Cassazione ha “sezionato” punto per punto l’incongruenza della citata giurisprudenza concludendo, anzi, che “la sentenza […] si limita a stabilire che è, in linea di principio, incompatibile con la normativa comunitaria una legislazione nazionale […] che subordini il diritto al rimborso dell’IVA alla suddetta condizione; non può, invece, essere intesa nel senso che il diritto comunitario imponga esso stesso tale onere”.

Riportando tale principio al caso in esame, il contribuente che, pur avendo computato le detrazioni per i mesi di competenza, abbia omesso di computarle nella dichiarazione annuale, perde il diritto a dette detrazioni, ai sensi dell’articolo 28, comma 4, del DPR 633/1972, fermo restando il diritto al rimborso di quanto versato in eccedenza, in applicazione dell’articolo 30, comma 2, dello stesso DPR.

Al riguardo, come altra giurisprudenza comunitaria evidenzia (sentenza 15 dicembre 2011, causa C-427/10, Banca Antoniana popolare Veneta spa), in assenza di specifica disciplina comunitaria in tema di domande di rimborso di imposte indebitamente prelevate, “spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali domande possano essere presentate” ma, come i giudici della Suprema Corte sottolineano, è in ogni caso presupposto indefettibile che i citati requisiti rispettino i principi di equivalenza ed effettività. In altri termini, è necessario che tali requisiti non siano meno favorevoli di “quelli che riguardano reclami analoghi di natura interna e non siano congegnati in modo da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario”.

La neutralità è uno dei principi portanti del sistema IVA

Con la sentenza in commento, la Cassazione ci permette di ricordare, fra l’altro, quello che è uno dei principi “portanti” del sistema IVA: la neutralità (cfr. Corte di giustizia CE, 14 febbraio 1985, causa 268/83, Rompelman; 15 gennaio 1998, causa C-37/95, Ghent Coal Terminal; 19 settembre 2000, causa C-454/98), in forza della quale il sistema comune dell’IVA garantisce la corretta applicazione dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati delle attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’IVA (Corte di giustizia Ue, 8 febbraio 2007, causa C-435/05, Investrand; 22 febbraio 2001, causa C-408/98, Abbey National).

Riassumendo, quindi, la neutralità è resa effettiva dalla detrazione e, quando questa non è tecnicamente possibile, dal rimborso. “Tecnicamente” nel senso che la detrazione può essere operata se vi è un’imposta a debito: altrimenti, come indica l’art. 30, comma 1, del DPR n. 633/1972, si deve riconoscere il rimborso.

IVA: diritto alla detrazione a prescindere dal versamento

Fonte: Fisco Oggi

Data: 02/04/2012

Autore: A. De Angelis

Il caso, che è stato oggetto di rinvio pregiudiziale, riguarda l’interpretazione della sesta direttiva comunitaria, la 388 del 1977, con riferimento all’articolo 17

La società ricorrente, negli anni dal 1992 al 1995, importava biciclette dichiarando come provenienza il Vietnam. L’Amministrazione doganale francese, invece, considerava la merce di origine cinese con conseguente applicazione di dazi doganali e dazi antidumping a loro volta soggetti a Iva. Il mancato versamento dell’Iva comportava il sorgere di un credito a favore dell’Amministrazione finanziaria francese. Credito Iva, però, non ritenuto valido dal giudice fallimentare, in quanto il credito  era stato insinuato a titolo definitivo oltre i termini stabiliti dalla legge. Ecco che allora la società ricorrente proponeva domanda di rimborso del credito Iva di cui essa si riteneva titolare in considerazione del rialzo dell’Iva all’importazione sui diritti elusi.

La posizione dell’Amministrazione finanziaria
L’Amministrazione respingeva la  richiesta argomentando che la detraibilità Iva all’importazione è subordinata al suo effettivo previo versamento. La società ricorrente, considerato il rigetto nel giudizio in primo grado, faceva ricorso in cassazione dinanzi al Consiglio di Stato sostenendo come l’esercizio a detrazione subordinato a un effettivo previo pagamento dell’imposta, come previsto dal codice generale delle imposte francese, sia incompatibile con l’articolo 17, paragrafo 2, lettera b), della sesta direttiva Iva. Il Consiglio di Stato decideva pertanto di sospendere il procedimento e adire i giudici comunitari..
I contenuti della questione pregiudiziale
Il dubbio interpretativo sollevato riguarda la corretta interpretazione dell’art. 17, paragrafo 2, lettera b), della sesta direttiva Iva. In altri termini, si tratta di stabilire la conformità, alla suddetta disposizione, di una normativa nazionale che prevede di subordinare l’esercizio del diritto a detrazione dell’Iva all’importazione, all’effettivo versamento dell’imposta, dal soggetto passivo quando tale soggetto sia allo stesso tempo il titolare del diritto a detrazione.
L’analisi della normativa comunitaria
Dalla lettura dell’art. 17, si evince come ogni soggetto passivo è autorizzato a detrarre l’Iva per i beni importati nel territorio dello Stato. I soggetti passivi, pertanto, possono detrarre l’Iva per i beni di loro proprietà o che saranno ceduti. Quindi, la detrazione è prevista sia per l’imposta già versata ma anche per quella da versare in futuro.  Dal combinato disposto dell’articolo 17, con l’art. 10 della sesta direttiva deriva che il diritto a detrazione Iva sia indipendente dall’avvenuto pagamento del corrispettivo versato per i beni importati. Di conseguenza il diritto a detrazione dell’Iva all’importazione non può essere subordinato all’effettivo pagamento dell’Iva. A tale conclusione si perviene richiamando anche l’articolo 18 della sesta direttiva rubricato “Modalità di esercizio del diritto a deduzione”, per il quale il diritto a detrazione non viene subordinato affatto all’effettivo previo pagamento dell’imposta all’importazione. Tale interpretazione, si conforma ai principi della sesta direttiva Iva secondo cui il diritto a detrazione non può essere limitato in quanto parte integrante del più complesso meccanismo dell’imposta sul valore aggiunto. Questo è vero, a maggior ragione, tanto più se si fa riferimento al principio della neutralità fiscale che il ricordato sistema comune dell’Iva è finalizzato a garantire. Diversamente, consentire la detrazione soltanto previo effettivo pagamento significherebbe far gravare sul soggetto passivo, seppur temporaneamente, l’onere dell’imposizione economica che il meccanismo della detrazione è invece finalizzato a non consentire. Quanto al pericolo di frode o evasione fiscale, il rischio è scongiurato in quanto il soggetto che si avvale della detrazione è tenuto a dimostrare la sussistenza dei presupposti del diritto a detrazione.
La conclusione degli eurogiudici
A conclusione della disamina della questione pregiudiziale i giudici comunitari ritengono che una normativa nazionale, come quella di cui alla causa principale, non è compatibile con le disposizioni della sesta direttiva Iva e, in particolare, con l’articolo 17, paragrafo 2, lettera b). Pertanto, il diritto a detrazione dell’Iva può essere esercitato a prescindere dell’effettivo versamento dell’imposta dovuta da parte del titolare del diritto a detrazione. Come precisato nel testo stesso della sentenza, l’imposta dovuta si riferisce a un debito esigibile e che obbliga quindi il soggetto passivo al versamento dell’Iva detraibile quale imposta assolta a monte.
Fonte: sentenza Corte UE del 29.03.2012 procedimento C-414/10

EXPORT: prova dell’operazione (sentenza Cassazione)

Fonte: Eutekne.info

Autore: L.A. Carello

Data: 27/10/2011

Con la sentenza n. 22233 depositata il 26 ottobre 2011, la Corte di Cassazione ha ribadito che, in caso di operazioni con operatori extra-Ue, “l’esportazione deve risultare da documento doganale o da vidimazione apposta dall’Ufficio”, al fine di comprovare l’uscita della merce dal territorio doganale.

Il caso trae origine dalla contestazione di omessa fatturazione di operazioni imponibili a una società italiana, che, all’epoca dei fatti (1997), aveva intrattenuto rapporti commerciali con una società ungherese, allora esclusa dal territorio UE, avvalendosi di un altro operatore identificato in Italia.

La Corte chiarisce, preliminarmente, che si tratta di un’esportazione triangolare regolata dall’articolo 8, lett. a) DPR 633/1972, la quale si caratterizza per la presenza di un cedente e di un cessionario entrambi residenti nel territorio dello Stato, e di un cessionario residente all’estero e destinatario della merce. In tale contesto, il giudice di merito aveva ritenuto legittimo l’operato della contribuente, la quale aveva considerato non imponibili ai fini IVA le cessioni fatturate alla società ungherese, sul presupposto che le stesse venissero esportate in territorio extra-Ue.

Secondo la Cassazione, la tesi del giudice di merito risulta carente, in quanto si poggia sul presupposto del diritto al rimborso che spetterebbe alla società cessionaria e alla conseguente mancanza di danno erariale derivante dalla non applicazione dell’IVA nelle fatture emesse dalla ricorrente. La Suprema Corte, intervenendo sul punto, nel richiamare il principio contenuto nell’articolo 8, comma 1, lettera a) DPR 633/1972, evidenzia come la norma, così come strutturata, prescinda dalla posizione del cessionario non residente e ponga precisi obblighi individuabili in capo all’operatore residente, tra cui la cura del trasporto dei beni e la presentazione in dogana delle fatture (su tale procedura, si veda la nota Agenzia delle Dogane n. 3495/2007).

Di conseguenza, solo qualora nelle fatture relative alla merce destinata all’esportazione, intestate al cessionario residente nel territorio dello Stato, risulti la vidimazione dell’Ufficio Doganale comprovante l’uscita dei beni dal territorio doganale, si devono ritenere sussistenti le condizioni richieste dalla legge per qualificare l’operazione come cessione all’esportazione esente da imposta (v. Cass. n. 5065/1998).
Non risultando i prescritti documenti nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto che l’esportazione fosse eseguita dal cessionario destinatario dei beni, con conseguente disapplicazione del regime di non imponibilità ex art.8, co. 1, lett. a) DPR 633/1972, a nulla rilevando il fatto che la merce effettivamente abbandonasse il territorio comunitario.

Per l’esportazione triangolare, sanzione pari al 100% dell’imposta evasa

Sotto altro profilo, la sentenza della Cassazione in commento si pronuncia anche in tema di sanzioni. Ricordando che lo schema negoziale tipico di un’esportazione triangolare si caratterizza per la presenza di due operatori residenti e un cessionario non residente destinatario finale della merce, la Corte ritiene applicabile al caso di specie la norma sanzionatoria prevista dall’articolo 6, comma 8, del DLgs. 472/1997, in ossequio al principio del favor rei introdotto dall’art. 3 del DLgs. 472/1997. In caso di omessa auto-fatturazione da parte del cessionario o committente, risulta quindi dovuta una sanzione pari al 100%  dell’imposta evasa. Rispetto alla disposizione contenuta nell’abrogato articolo 41 del DPR 633/1972, tale sanzione risulta più lieve, atteso che l’abrogata disposizione richiedeva, oltre al pagamento della sanzione, anche l’imposta evasa.

Plafond IVA: per le violazioni conta l’anno di illegittimo utilizzo

La Cassazione, con sentenza n. 12774 del 10/06/2011, ha affermato che le contestazioni riguardanti il plafond IVA non si riferiscono all’anno di formazione, ma a quello successivo di utilizzo del medesimo: quindi, in caso di insussistenza o superamento del plafond disponibile il termine di decadenza di quattro anni per l’accertamento decorre dall’anno in cui il plafond è stato utilizzato per acquisti senza IVA.

Il plafond è generato dalle operazioni con l’estero, con due metodi alternativi:

  • metodo solare, in cui si fa riferimento alle operazioni registrate nell’anno precedente; in tal caso il relativo utilizzo si verifica sempre nell’anno successivo a quello di creazione;
  • metodo mensile, in cui si fa riferimento alle operazioni registrate nei dodici mesi precedenti.

Il caso dibattuto si riferisce a una triangolazione in esportazione: tale operazione genera plafond sia per il primo cedente (italiano – IT1, per il quale sarà un plafond libero), sia per il promotore (anch’esso italiano – IT2, per il quale sarà un plafond in parte libero e in parte vincolato). Se, quindi, ad uno o entrambi gli operatori viene contestato il regime di non imponibilità applicato in sede di fatturazione, ad es. perché non è stata provata l’uscita dei beni fuori della UE, l’effetto è duplice: il bene ceduto si presume immesso in consumo nel territorio italiano (con il conseguente recupero dell’IVA e l’applicazione della relativa sanzione) e la cessione non assume rilevanza sia per la determinazione dello status di esportatore abituale, sia per la formazione del plafond.

Mentre il recupero dell’IVA sulla cessione (interna o all’esportazione) si riferisce all’anno di fatturazione ex art. 8, co. 1, lett. a), DPR 633/1972, la violazione consistente nell’acquisto senza applicazione dell’IVA ex art. 8, co. 1, lett. c) si nell’anno successivo: per quest’ultima infrazione, quindi, il termine di decadenza dell’accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate decorre dall’anno in cui l’operatore, avvalendosi illegittimamente della qualifica di esportatore abituale, ha acquistato beni senza IVA.

Si sottolinea inoltre un punto che desta perplessità della sentenza, in cui si afferma quanto segue: la non imponibilità delle operazioni effettuate nei confronti degli esportatori abituali presuppone che l’operazione sia, oggettivamente, destinata all’esportazione richiamando una precedente sentenza (n. 16819/2008) dove si afferma che il mancato trasporto/spedizione dei beni in territorio extra UE preclude il beneficio.

Si ritiene invece che l’agevolazione concessa all’esportatore abituale sia svincolata dalla destinazione dei beni acquistati; per le cessioni non imponibili ex art. 8, co.1, lett. c), DPR 633/1972, non è dunque prevista la prova dell’uscita “materiale” dei beni dalla UE e, inoltre, la dichiarazione che l’esportatore abituale invia al proprio fornitore non attesta l’intento di esportare i beni acquistati, bensì la volontà di avvalersi del beneficio di acquistare senza IVA grazie allo status posseduto.

L’Agenzia delle Entrate ha confermato questa conclusione sia prima che dopo le modifiche apportate dalla [download id=”6663″]:

  • prima, era sufficiente la “potenziale possibilità di esportazione”, tant’è che “a differenza di quanto stabilito per gli acquisti di beni destinati ad essere esportati nello stato originario, nella specie non è prevista un’ipotesi di violazione delle disposizioni regolanti il tributo, ove i beni stessi abbiano destinazione diversa dall’invio all’estero” ([download id=”6665″]);
  • dopo, l’agevolazione è subordinata esclusivamente alla qualifica di esportatore abituale dell’acquirente italiano, essendo venuta definitivamente meno la rilevanza dell’intento di esportare i beni fuori della Comunità ([download id=”6661″]).