DOGANA: modifiche al regime del transito per adesione Croazia

Fonte: www.cnsd.it

Data: 14/07/2012

Con la Decisione N. 3/2012 del Comitato Congiunto UE-EFTA sul transito comune del 26 giugno 2012 è stata modificata la convenzione del 20 maggio 1987 relativa a un regime comune di transito. La modifica si è resa necessaria in virtù della dichiarazione, da parte della Croazia, di aderire alla convenzione stessa (vedasi in proposito le precisazioni dell’Agenzia delle Dogane fornite con la nota prot. 80086/RU del 28/06/2012, per la quale è disponibile un commento nella newsletter CNSD n. 17/2012).
Per consentire l’utilizzo dei formulari relativi alla garanzia (Appendice III) stampati secondo i criteri in vigore prima della data di adesione della Croazia alla convenzione, è stato fissato un periodo transitorio durante il quale tali stampati potranno continuare a essere utilizzati con alcuni adattamenti fino al termine del dodicesimo mese successivo alla data di applicazione della decisione in oggetto.

Subappalti costruzioni edili: trattamento IVA differenziato se il reverse charge è obbligatorio

Fonte: Eutekne.info

Data: 14/07/2012

Autore: M. Peirolo

Nel settore edile, può accadere che una società italiana effettui, per conto di un soggetto IVA stabilito in un altro Paese UE (ad esempio, la Francia), lavori inerenti la costruzione di un fabbricato non situato in Italia. Può anche verificarsi che la società italiana si avvalga di subappaltatori locali, cioè stabiliti nel luogo di ubicazione dell’immobile in corso di edificazione.
Ai fini IVA, le domande da porsi riguardano essenzialmente l’individuazione del luogo impositivo e, relativamente al rapporto di subappalto, l’applicabilità del meccanismo del reverse charge, con traslazione dell’obbligo impositivo in capo al subappaltatore estero.

Riguardo al primo aspetto, in base all’art. 47 Direttiva n. 2006/112/CE, recepito dall’art. 7-quater, comma 1, lett. a), DPR 633/1972, “luogo delle prestazioni di servizi relativi a un bene immobile (…) è il luogo in cui è situato il bene”.
Non è, tuttavia, il riferimento all’immobile che determina il luogo impositivo, bensì la natura della prestazione in concreto resa. Secondo la Corte di Giustizia (causa C-166/05, Heger), la tassazione nel luogo di ubicazione dell’immobile presuppone, infatti, l’esistenza di un nesso sufficientemente diretto tra la prestazione e il bene.
La stessa Amministrazione finanziaria ha delimitato l’ambito applicativo del criterio territoriale in funzione della “presenza di una relazione concreta ed effettiva con il bene immobile” (RM 48/E/2010 e CM 37/E/2011, § 3.1.1).

Il descritto criterio interpretativo supera la posizione espressa dalla Suprema Corte (sentenza 26 maggio 2010 n. 12834) in ordine al rapporto tra le disposizioni che regolano il presupposto territoriale, da individuare – secondo i giudici di legittimità – in funzione dell’esclusivo riferimento all’immobile. Il criterio del luogo di ubicazione dell’immobile riguarderebbe “tutte le prestazioni di servizi inerenti ad immobili situati in Italia, come si evince chiaramente dal fatto che il legislatore si è premurato di chiarire che sono «comprese» anche le perizie, le prestazioni di agenzia, ecc., proprio per evitare equivoci e per chiarire che la localizzazione dell’immobile determina l’imponibilità in Italia delle prestazioni di servizio di ogni tipo”.

Rispetto al caso in esame, ipotizzando che si sia in presenza di un “nesso sufficientemente diretto” con l’immobile, le prestazioni relative all’immobile ubicato in Francia, rese ad un soggetto passivo francese, si considerano ivi territorialmente rilevanti agli effetti del tributo sul valore aggiunto. Il prestatore italiano, conseguentemente, non è tenuto ad emettere la fattura, siccome il relativo obbligo, ex art. 21, comma 6, del DPR n. 633/1972, è previsto per le sole prestazioni di servizi “generiche” escluse da IVA in Italia ex art. 44 della Direttiva n. 2006/112/CE, recepito dall’art. 7-ter, comma 1, lett. a), del DPR n. 633/1972; quindi, non anche per quelle detassate in base al citato art. 7-quater. L’imposta è assolta in Francia dal committente, soggetto passivo, senza necessità, per l’operatore italiano, di identificarsi direttamente o per mezzo di un rappresentante fiscale.

Riguardo al secondo aspetto, se la Francia si è avvalsa, come l’Italia, della facoltà di traslazione dell’obbligo d’imposta in capo al destinatario del servizio, prevista dall’art. 199, par. 1, lett. a), della Direttiva n. 2006/112/CE, può utilmente richiamarsi la CM 11/E/2007 (risposta 5.1). In tale ipotesi, infatti, è la società italiana che, in quanto debitore d’imposta in luogo del subappaltatore francese, deve identificarsi in tale Paese al fine di assolvere l’imposta.

Riepilogando, se la Francia ha previsto l’obbligo di reverse charge, con una portata applicativa analoga a quella prevista dall’Amministrazione finanziaria italiana, il regime IVA appare il seguente:
– rapporto subappaltatore francese/appaltatore italiano: identificazione IVA in Francia dell’appaltatore italiano con assolvimento, da parte di quest’ultimo, dell’IVA francese;
– rapporto appaltatore italiano/committente francese: IVA francese con reverse charge in capo al committente francese.

Se, invece, la Francia non si è avvalsa della facoltà in parola, ovvero se la portata applicativa del reverse charge differisce da quella prevista dall’Amministrazione finanziaria italiana, è il subappaltatore francese che, in quanto debitore d’imposta, deve assoggettare a IVA la prestazione, territorialmente rilevante in Francia ex art. 47 della Direttiva n. 2006/112/CE. Nel rapporto appaltatore italiano/committente francese resta dovuta l’IVA francese, con reverse charge in capo al committente francese.

INTRA UE: tardivo versamento IVA non impedisce la detrazione

La Corte di giustizia europea, nella causa C-284/11 del 12/07/2012, ha affermato che il tardivo versamento dell’IVA dovuta sull’acquisto intra UE non può essere punito con il diniego del diritto alla detrazione; gli Stati membri possono tuttavia imporre interessi moratori, la cui entità deve essere proporzionata alla gravità della violazione e non può, invece, essere tale da vanificare in sostanza la detrazione.

La pronuncia prende origine da un’operazione commerciale di vendita avviata da una società, con sede in Spagna, che ha venduto alcuni autocarri e mezzi pesanti d’occasione a una società bulgara. Il fornitore spagnolo ha emesso, in tale occasione, fatture di vendita di autocarri/mezzi pesanti/d’occasione, dichiarandole come cessioni intracomunitarie.

La società bulgara a dicembre 2008 ha inoltrato una domanda di registrazione facoltativa ai fini IVA e a gennaio 2009 ha effettuato la registrazione. Nel giugno 2009, la medesima società ha emesso dieci verbali di acquisto intracomunitario, versando l’imposta dovuta mediante autoliquidazione ed esercitando il diritto a detrazione.

Le autorità tributarie bulgare contestano che la liquidazione è stata effettuata nel giugno 2009 e non nel novembre 2008, e negano il beneficio del diritto alla detrazione dell’IVA, poichè esercitato dopo la scadenza del termine previsto dalle norme nazionali.

Sulla prima questione, la corte ricorda che:

  • il meccanismo della detrazione assolve un ruolo primario nell’IVA, poiché garantisce la neutralità dell’imposizione per tutte le attività economiche purché queste, in linea di principio, siano a loro volta soggette all’IVA: in tal senso il diritto alla detrazione non può essere compresso;
  • in linea di principio il diritto alla detrazione va esercitato durante lo stesso periodo in cui esso è sorto, ossia nel momento in cui l’imposta diviene esigibile. Tuttavia, un soggetto passivo può esercitare la detrazione, anche se non ha esercitato il proprio diritto nel periodo in cui esso è sorto, purché siano rispettate talune condizioni e modalità fissate dalle normative nazionali.

In particolare ex art.73 VI Direttiva, gli Stati membri possono adottare provvedimenti per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare frodi; tali misure non devono eccedere tuttavia quanto necessario a tal fine e non devono pregiudicare la neutralità dell’IVA.

Si precisa che la possibilità di esercitare il diritto alla detrazione senza limiti di tempo contrasta con il principio della certezza del diritto, che esige che la situazione fiscale del soggetto passivo nei confronti dell’Amministrazione fiscale, non possa essere indefinitamente rimessa in discussione, per cui è legittima l’esistenza di un termine di decadenza purché tale termine non renda eccessivamente difficile o praticamente impossibile l’esercizio di tale diritto.

Sulla seconda questione (se il principio di neutralità fiscale contrasti con la previsione della sanzione del diniego del diritto alla detrazione dell’IVA e nell’imposizione di interessi di mora se l’imposta sia versata in ritardo) la Corte, per il principio di proporzionalità, precisa che gli Stati membri devono contrastare efficacemente le frodi e l’evasione fiscale, ma devono pregiudicare il meno possibile il principio fondamentale del diritto alla detrazione dell’IVA.

Ad es., secondo la Corte il versamento di interessi moratori può costituire una sanzione adeguata, purché non ecceda quanto necessario ad evitare possibili frodi e garantire la corretta riscossione dell’IVA.

RIMBORSO IVA: non è possibile se manca l’iscrizione al VIES

Ex art. 27 DL 78/2010, è necessaria l’iscrizione nel VIES degli operatori UE per parlare di operazioni intracomunitarie; altrimenti si applica il trattamento IVA delle operazioni nazionali.

Tale disciplina riferisce non solo agli acquisti e cessioni intra UE di beni, ma anche alle prestazioni di servizi generiche, con tassazione nel Paese di stabilimento del committente ex art. 44 Direttiva 2006/112/CE – ed ex art. 7-ter, co.1, lett. a), DPR 633/1972: non si fa distinzione infatti tra soggetti che effettuano forniture intra UE di beni o prestazioni intra UE di servizi (v. CM 28/E/2011 e CM 39/E/2011).

In riferimento ai servizi generici, ad es. un servizio di trasporto reso ad un committente UE, in assenza di iscrizione nel VIES del prestatore italiano, non può essere fatturato senza IVA ex art. 21, co.6, DPR 633/1972; la CM 39/E/2011 ha chiarito infatti che l’inclusione nel VIES è necessaria anche per quei soggetti che effettuano prestazioni di servizi intra UE soggette ad IVA nel paese di destinazione ex art.7-ter DPR 633/1972. Inoltre dovrebbe essere la stessa controparte comunitaria che, non avendo modo di riscontrare la soggettività passiva IVA del cedente/prestatore italiano nel VIES, dovrebbe esimersi dal qualificare fiscalmente l’operazione come intra UE.

Pertanto, eventuali cessioni o prestazioni intra UE effettuate da un soggetto passivo non ancora incluso nel VIES, o escluso a seguito di diniego o revoca, devono ritenersi assoggettate ad IVA in Italia, con le conseguenti sanzioni ex art.6 D.Lgs. 471/1997, qualora invece l’operazione sia stata assoggettata al regime fiscale IVA proprio della cessione/prestazione intra UE.

Anche ove il prestatore italiano intenda regolarizzare la violazione commessa, emettendo una fattura integrativa con l’addebito d’IVA (che il committente UE NON pagherà, comunque), si applicherebbe comunque la sanzione amministrativa ex art. 6, co.1 e 4, DLgs. 471/1997 (dal 100% al 200% dell’imposta, minimo 516 euro), con possibilità di ravvedimento operoso ex art. 13 DLgs. 472/1997.

L’IVA addebitata al committente UE potrebbe non essere rimborsabile secondo la procedura ex art. 38-bis2 DPR 633/1972:  la Corte di Giustizia (cause C-35/05 e C-566/07), ha precluso il rimborso per le operazioni extra territoriali, quali sarebbero quelle in esame, anche in caso di successivo versamento dell’imposta. Lo stesso vale per le cessioni che soddisfano i presupposti per essere fatturate in regime di non imponibilità, ma che sono ricondotte a tassazione in Italia in assenza di iscrizione del cedente nel VIES: ex art. 4 Direttiva 2008/9/CE si esclude il rimborso per le operazioni che siano o che possano essere qualificate come cessioni intra-UE.

COMMENTO. Il sistema introdotto ex DL 78/2010, fondandosi sulla carenza di soggettività passiva nelle operazioni intra UE, non regge sul piano comunitario anche alla luce delle recenti conclusioni dell’Avvocato generale presso la Corte di Giustizia (causa C-587/10):

  • in primo luogo, la detassazione, dal lato attivo, delle operazioni intra UE deve essere riconosciuta anche quando il cedente ha violato determinati requisiti formali (nella specie, l’iscrizione nel VIES) se egli è in grado di dimostrare che, dal punto di vista sostanziale, l’operazione riveste natura intra UE;
  • in secondo luogo, il principio di ripartizione della potestà impositiva tra il Paese di origine e il Paese di destinazione determina una duplicazione d’imposta contraria al principio di neutralità dell’IVA se, in assenza di iscrizione nel VIES, si nega la detassazione nel Paese di origine, posto che – ex art.16 Reg. UE 282/2011 – lo Stato di destinazione è legittimato ad esercitare la propria potestà impositiva indipendentemente dal trattamento IVA applicato nel Paese di origine.