INTRA UE: bonifico bancario insufficiente come prova della cessione intra

Il bonifico bancario è insufficiente come prova della cessione intra UE: è quanto afferma la CTP di Cremona, con sentenza 56/1/13, riportando l’attenzione su uno dei punti più critici in materia di cessioni intra UE, e cioè quello della prova che bisogna fornire in caso di controlli per dimostrare l’effettività dell’operazione.

La CTP di Cremona ha affermato che la prova può essere data con ogni mezzo avente carattere di certezza ed incontrovertibilità, come ad es. l’attestazione di pubbliche amministrazioni del paese di destinazione, mentre dei documenti di origine privata come sono i documenti bancari di avvenuto pagamento, non possono costituire prova idonea allo scopo.

La sentenza nasce da una contestazione fatta dall’Agenzia Entrate ad una azienda per operazioni intra UE con clienti di altri stati membri che, pur esistenti ed operativi, avevano uno un numero di partita IVA inesistente ed un altro un numero di partita IVA inattivo: il venditore italiano avrebbe dovuto porre in essere delle verifiche su tali partite IV, ma avrebbe comunque potuto provare l’effettività delle cessioni intra UE (e cioè lo status di soggetto passivo del cessionario UE e l’avvenuta consegna della merce in altro stato) utilizzando qualsiasi mezzo avente carattere di certezza ed incontrovertibilità.

Ovviamente su quali mezzi utilizzare non si dice nulla, a parte che la documentazione bancaria non è sufficiente come prova da sola. Si richiama quindi l’attenzione sull’importanza di produrre la documentazione che potrebbe essere richiesta alle aziende, implementando una procedura in azienda che consenta di verificare l’effettività delle cessioni intra UE, e cioè lo status di soggetto passivo del cessionario UE e l’avvenuta consegna della merce in altro stato.

In tal senso si rimanda alla documentazione di prassi, ultima delle quali la RM 19/E/2013 

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BLACK LIST: novità dal 1° ottobre

Nel tentativo malriuscito (come sempre, anzichè togliere qualcosa, la si cambia) di semplificazione degli adempimenti tributari, il Provvedimento n. 2013/94908 del 2/8/2013 emesso dall’Agenzia Entrate, ridefinisce le modalità tecniche e i termini relativi alla comunicazione dello Spesometro e approva alcune novità per quel le comunicazioni degli acquisti di beni effettuati senza applicazione di IVA provenienti dalla Repubblica di San Marino e per gli acquisti dai Paesi black-list: in pratica si vuole utilizzare il modello fiscale relativo allo spesometro anche per tali comunicazioni obbligatorie.

Operazioni con Repubblica San Marino

In questo caso dalla comunicazione cartacea all’Agenzia si passa alla comunicazione telematica col modello “Spesometro”: viene infatti previsto che il nuovo modello dello “spesometro” debba essere utilizzato anche per le comunicazioni da effettuare, ex art. 16 lett. c DM 24/12/1993, per le operazioni di acquisto di beni provenienti da operatori sammarinesi effettuate senza applicazione dell’imposta e annotate nei registri IVA acquisti e vendite ex art.16 lett. b) DM 24/12/1993, abrogando espressamente la comunicazione cartacea finora utilizzata.

La nuova modalità di comunicazione decorrerà dalle operazioni annotate a partire dal prossimo 1 ottobre 2013 e dovrà essere inviata entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello di annotazione, quindi la prima comunicazione dovrà essere effettuata entro il 30 novembre 2013.

Comunicazione Black List

In questo caso la novità prevede l’utilizzo del modello “Spesometro” al posto dell’attuale modulistica: pertanto, per le operazioni effettuate a decorrere dal 1 ottobre 2013 non si utilizzeranno più gli attuali modelli previsti per le comunicazioni black list bensì il nuovo modello.

La periodicità di presentazione rimane quella ordinariamente prevista dalla specifica normativa di riferimento.

INTRA UE: prova del trasferimento fisico della merce

Fonte: Fisco Oggi

Data: 06/09/2013

Autore: S. Servidio

La merce non ha valicato il confine: il contrario va provato dal cedente

L’acquirente opera, di fatto, stabilmente in Italia. Ciò basta a fondare il sospetto del Fisco e a riversare sul venditore l’onere di dimostrare la non imponibilità ai fini Iva
La sezione tributaria della Corte di cassazione, con la sentenza n. 19747 del 28 agosto, ha stabilito, in tema di operazioni intracomunitarie, che è fondata la pretesa tributaria se manca la prova che le merci abbiano lasciato il territorio dello Stato membro di cessione.Il fatto
La vicenda riguarda le fatturazioni di operazioni intracomunitarie relative a cessioni di beni eseguite nel corso dell’anno da una Srl (fornitore nazionale) nei confronti di una società con sede in Germania, ritenute fittizie dall’Amministrazione finanziaria, in quanto il soggetto estero operava, di fatto, in Italia presso i locali di un’altra società e i beni ceduti non erano mai stati trasferiti nel Paese di destinazione, con la conseguenza che doveva ritenersi integrato il presupposto della territorialità (art.7, Dpr 633/1972) per l’applicazione dell’Iva nello Stato in cui si era effettivamente realizzata la cessione.La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello dell’ente impositore e ha dichiarato legittimo l’avviso di accertamento, non avendo l’appellata fornito prova che i beni avessero realmente varcato il confine dello Stato.
In prima battuta, la Ctp aveva escluso la responsabilità della società per irregolarità e/o frode fiscale per mancata destinazione estera dei beni venduti, considerato che la cedente avrebbe “scrupolosamente” adempiuto agli oneri formali posti a carico degli imprenditori che effettuano operazioni intracomunitarie. Da qui, la conclusione che i presunti illeciti fiscali dovevano essere imputati esclusivamente al cessionario estero e che l’ufficio non aveva suffragato con prove determinanti la tesi secondo cui i beni non sarebbero stati effettivamente trasferiti nello Stato di destinazione.La società ha quindi proposto articolato ricorso per cassazione, con il quale, sostanzialmente, denuncia violazione dei principi di certezza del diritto, di proporzionalità e di buona fede, avendo il giudice d’appello erroneamente ritenuto che, nelle operazioni intracomunitarie, rilevava solo l’aspetto “oggettivo” della fattispecie e che si doveva prescindere dai profili “soggettivi” di responsabilità propria del cedente.

Motivi della decisione
La Corte suprema rigetta il ricorso, argomentando innanzitutto che l’esclusione della società dalla compartecipazione alla frode è elemento in sé necessario, ma non sufficiente, per esentare il contribuente dall’obbligazione tributaria in conseguenza del mancato transito territoriale della merce: cosa diversa è, infatti, accertare se la cedente abbia verificato ex ante l’operatività della cessionaria, altro è, poi, accertare se nel caso concreto la merce sia stata o meno realmente trasferita nello Stato membro di destinazione, che è l’elemento costitutivo indefettibile per l’applicazione del regime di esenzione Iva per le operazioni intracomunitarie.

Infatti, ai sensi dell’articolo 41, comma 1, lettera a), del Dl 331/1993, costituiscono cessioni non imponibili quelle a titolo oneroso di beni trasportati o spediti, nel territorio di un altro Stato membro, dal cedente, dall’acquirente o da terzi per loro conto, nei confronti di soggetti passivi d’imposta. Sicché, per la realizzazione di una transazione intracomunitaria, con la conseguente emissione di fattura non imponibile Iva, devono sussistere i seguenti requisiti:

  1. onerosità dell’operazione
  2. acquisizione o trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto reale sui beni
  3. status di operatore economico del cedente nazionale e del cessionario comunitario
  4. effettiva movimentazione del bene dall’Italia a un altro Stato membro, indipendentemente dal fatto che il trasporto o la spedizione avvengano a cura del cedente, del cessionario o di terzi per loro conto.

Tali requisiti devono sussistere congiuntamente: in mancanza anche di uno solo, la cessione sarà da considerare imponibile Iva secondo le disposizioni contenute nel Dpr 633/1972 (cfr risoluzione n. 19/2013).

In relazione alla disciplina normativa comunitaria – secondo il previgente articolo 28-quater della sesta direttiva comunitaria, la n. 388/1977, ora riprodotto nell’articolo 138 paragrafo 1 della direttiva 2006/122/Ce – la Corte di giustizia (sentenze 27 settembre 2007, causa C-409/07, e 16 dicembre 2010, causa C- 430/09) ha fissato alcune coordinate in base alle quali gli elementi costitutivi di una “operazione intracomunitaria” vanno individuati:

  1. nel trasferimento all’acquirente del potere di disporre del bene come proprietario
  2. nella spedizione o trasporto del bene in un altro Stato membro (diverso da quello del soggetto cedente)
  3. nell’effettiva fuoriuscita della merce dal territorio dello Stato membro del soggetto cedente.

Quest’ultimo elemento comporta “un movimento fisico di un bene da uno Stato membro verso un altro” e non consente alcuna ipotesi surrogatoria di tipo virtuale, quale, ad esempio, l’intenzione delle parti espressa in un accordo o convenzione di effettuare detto trasferimento.
Pertanto, afferma il giudice di legittimità, il cedente che chiede di fruire dell’esenzione deve “comunque” offrire le prove di cui dispone e che appaiono “astrattamente” idonee – indipendentemente dall’illecito perpetrato dalla concessionaria – a rappresentare la fuoriuscita della merce dallo Stato membro cedente. Non può, invece, limitarsi a dimostrare che il rapporto giuridico si è perfezionato producendo gli effetti giuridici propri dello schema negoziale adottato nella vendita di beni mobili (cfr articoli 1476, 1510 e 1527, codice civile.)
In particolare, nell’ipotesi di vendita con clausola “franco fabbrica”, il cedente non assolve al proprio onere probatorio con la mera presentazione della lettera di vettura, ma, per provare il diritto all’esenzione Iva, deve produrre un diverso documento rappresentativo dell’effettiva dislocazione della merce nel territorio dello Stato membro di destinazione o la prova anche di “fatti secondari”, dai quali desumere la presenza fisica delle merci in territorio diverso da quello dello Stato membro in cui è residente il cedente.

Nel caso concreto era emerso, in fase istruttoria, che la società tedesca operava, di fatto, stabilmente in Italia, e tale circostanza deve ritenersi del tutto sufficiente a integrare l’onere probatorio dell’Amministrazione finanziaria in ordine all’esistenza, al tempo della conclusione dell’operazione, di elementi di sospetto sull’irregolarità della cessione intracomunitaria e, conseguentemente, a riversare sul contribuente l’onere della prova contraria.

BLACK LIST: semplificazioni e nuovo modello in arrivo

Il c.d. DDL “Semplificazioni”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 19/06/2013, prevede che la comunicazione black list vada trasmessa con cadenza annuale, senza essere più collegata alle singole operazioni.

L’art. 1, co. 1, 2 e 3, DL 40/2010, ha introdotto l’obbligo di comunicare all’Agenzia Entrate acquisti e cessioni di beni, prestazioni di servizi rese e ricevute, registrate o soggette a registrazione, di importo superiore a € 500 (valore previsto ex DL 16/2012), poste in essere con operatori economici con sede, residenza o domicilio nei Paesi a fiscalità privilegiata(v. DM 04/05/1999 persone fisiche e DM 21/11/2001 persone giuridiche).

La comunicazione va presentata telematicamente, con periodicità mensile o trimestrale.

È, inoltre, previsto l’incremento della soglia di esenzione dagli attuali € 500 a € 1.000.

Con il Provvedimento 02/08/2013, prot. 94908, l’Agenzia Entrate ha stabilito che la comunicazione delle operazioni “black list”, effettuate a partire dal 01/10/2013, dovrà essere fatta utilizzando il modello previsto per la comunicazione delle operazioni IVA (c.d. “spesometro”).

I termini di presentazione della comunicazione restano gli stessi, e cioè entro l’ultimo giorno del mese successivo al mese o trimestre di riferimento, a seconda se la periodicità è mensile o trimestrale.