DEPOSITO IVA: lavorazioni sui beni in spazi limitrofi ex DL 179/2012

Le prestazioni sui beni non materialmente introdotti nel deposito possono godere della sospensione d’imposta prevista per i depositi IVA. Con il DL 179/2012, si è nuovamente intervenuto sulla norma di interpretazione autentica (art. 16, co. 5-bis DL 185/2008) relativa alle prestazioni di servizi realizzate sui beni custoditi in deposito. La modifica ha efficacia retroattiva, applicandosi anche ai rapporti precedenti alla sua entrata in vigore.
Ex art. 50-bis, co.4, lett. h) DL 331/1993 è regolata la sospensione dell’IVA per le prestazioni di servizi rese sui beni in custodia nel deposito, comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali. La sospensione si applica
anche alle operazioni materialmente eseguite nei locali limitrofi al deposito stesso, purché la durata di tali operazioni non superi i 60 giorni.

Successivamente:

  • Ex art.16, co.5-bis DL 185/2008 (norma di interpretazione autentica) ha chiarito che le suddette prestazioni, “relative a beni consegnati al depositario, costituiscono a ogni effetto introduzione nel deposito IVA”.
  • Ex art. 8, co.21-bis DL 16/2012, si è specificato che tali prestazioni di servizi costituiscono a tutti gli effetti introduzione nel deposito IVA, “senza tempi minimi di giacenza né obbligo di scarico [della merce] dal mezzo di trasporto”.
  • Ex DL 179/2012 si è chiarito, da un lato, che l’introduzione si intende realizzata anche negli spazi limitrofi al deposito, senza che sia necessaria l’introduzione fisica della merce nel deposito stesso e, dall’altro, che le funzioni di stoccaggio e custodia, richieste dalla disciplina civilistica del contratto di deposito, devono ritenersi soddisfatte, senza che sia quindi necessario un tempo minimo di giacenza dei beni nel deposito.

La giurisprudenza (V. CTR Genova 28/03/12 ) aveva affermato in precedenza che è ammissibile il deposito IVA anche quando le merci non siano materialmente immesse in esso (operazione questa sovente estremamente difficoltosa per le caratteristiche dei beni oggetti di importazione), ma depositate nell’area antistante lo stesso, in quanto anche in questo modo il depositario può prendere possesso giuridico delle merci ed effettuare tutti i controlli sulla stessa volti a verificare la corrispondenza con la descrizione contenuta nei documenti di accompagnamento.

Ad oggi è chiaro quindi che le lavorazioni sui beni in deposito beneficiano del regime di sospensione da IVA anche qualora le merci:
– non entrino fisicamente nel deposito, ma transitino negli spazi adiacenti al magazzino;
– non siano scaricate dal mezzo di trasporto;
– non siano soggette a un tempo minimo di custodia.
All’estrazione della merce dal deposito IVA per l’immissione in consumo sul territorio nazionale si applica il reverse charge ex art. 17 co.2 DPR 633/1972; i beni consegnati al depositario senza essere materialmente introdotti nel deposito si intendono estratti, in caso di cessione interna, non già semplicemente in base alle annotazioni nell’apposito registro che ne evidenzia le movimentazioni, bensì a seguito dell’esecuzione delle formalità previste ex art. 50-bis, co.6, DL 331/1993 (reverse charge da parte del soggetto passivo che provvede all’estrazione, compresa la comunicazione al gestore del deposito IVA dei dati relativi alla liquidazione dell’imposta).

Riguardo alla definizione di locali “limitrofi” al deposito, la RM 149/E/2000 ha definito come tali quelli che “pur non costituendo parte integrante del deposito, sono a questo funzionalmente e logisticamente collegati in un rapporto di contiguità, e comunque rientranti nel plesso aziendale del depositario”. In merito agli spazi contigui al deposito, ancorché esterni dalla proprietà del depositario, possano rientrare nella definizione di locali “limitrofi”. Anche a fronte di quanto affermato dalla sentenza sopra citata, potrebbe ritenersi che la custodia della merce all’esterno della proprietà o della concessione del depositario non soddisfi il requisito richiesto dalla norma, in quanto il depositario stesso non potrebbe prendere possesso giuridico della merce per effettuare tutti i controlli documentali necessari.

DOGANA: integrazione sistemi ECS (Export Control System) ed EMCS (Excise Movement Control System)

Nel realizzare le procedure previste dalla “Fase-3” del progetto comunitario EMCS (Excise Movement Control System), si è dato corso alla razionalizzazione/integrazione di taluni processi doganali e accise e alla digitalizzazione della nota di esportazione. Con l’occasione, al fine di limitare l’impatto sugli operatori e gli uffici, si è provveduto al contemporaneo adeguamento dei tracciati record alle previsioni del Regolamento UE 1221/2012, e ad anticipare taluni controlli previsti dalla Fase 3.1.

Le nuove funzionalità determinano l’emissione a carico del sistema AIDA della “Nota di esportazione” relativa all’e-AD (documento amministrativo elettronico) contestualmente alla conclusione della operazione di esportazione, dando luogo alle condizioni per l’immediato svincolo della garanzia prestata per la circolazione in regime sospensivo dei prodotti sottoposti ad accise.

Si precisa che le esportazioni abbinate a transito non sono trattate in ambito ECS (alias AES) pertanto, in tali casi, la “Nota di esportazione” non può essere prodotta a carico del sistema. Per tali operazioni l’ufficio di esportazione deve procedere, sulla base dell’appuramento del transito, alla emissione della “Nota di esportazione”. Per beneficiare dei vantaggi connessi dall’emissione automatica della nota in questione, gli operatori economici possono presentare una dichiarazione di esportazione seguita da una di transito.

I controlli correlati alle nuove funzionalità segnalano all’utente gli errori di compilazione che impediscono l’interazione tra i processi doganali e accise, interazione necessaria per l’emissione automatica della nota di esportazione.

Con la nota 21537 del 02 aprile 2013 l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha fornito le istruzioni operative per gli uffici e gli operatori economici, riguardanti l’esportazione di merci in regime di sospensione dai diritti di accisa trattate dal sistema EMCS.

INTRA UE: Prova dell’avvenuta cessione franco fabbrica

Nelle cessioni franco fabbrica (Ex Works), in cui il fornitore nazionale consegna i beni al vettore incaricato dal cliente, la prova dell’avvenuta cessione intra UE può essere fornita con il CMR (“lettera di vettura internazionale”) elettronico, oltre che cartaceo: inoltre, i documenti che contengono le medesime informazioni del CMR (cedente, vettore, cessionario) hanno lo stesso valore di prova.

Con la RM 19/E/2013 l’Agenzia Entrate fornisce tali chiarimenti sulla prova del trasporto dei beni, affinché l’operazione possa qualificarsi cessione intra UE e quindi non imponibile IVA ex art. 41 DL 331/1993.

La normativa UE (direttiva 2006/112/CE) lascia ai singoli Stati membri la possibilità di indicare gli strumenti comprovanti l’avvenuto trasporto della merce da uno Stato all’altro, nel rispetto dei principi di neutralità dell’imposta, certezza del diritto e proporzionalità delle misure adottate: l’Italia non ha dettato norme specifiche al riguardo, ma consente alle parti di provare con ogni mezzo la natura dell’operazione.

Sul punto sono state emanate alcune risoluzioni:
La RM 345/E/2007, individua nel documento di trasporto la prova idonea a dimostrare il transito di merci verso un Paese UE, da conservare, ed eventualmente esibire, unitamente agli elenchi Intra, alle fatture e alla documentazione bancaria.
La RM 477/E/2008 (proprio sulle cessioni “franco fabbrica” senza documenti di trasporto) afferma che in tal caso la prova “potrà essere fornita con qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare che le merci sono state inviate in altro Stato membro”.

Con l’ultimo documento di prassi, l’Agenzia parifica il CMR elettronico al CMR cartaceo: avendo lo stesso contenuto, è idoneo a dimostrare l’uscita della merce dal territorio italiano. Inoltre, l’Agenzia precisa che la prova dell’avvenuto trasporto dei beni possa essere fornita anche con documenti diversi dal CMR cartaceo. Se gli stessi elementi del CMR (dati della spedizione e firme del cedente, vettore e cessionario) si possono avere con documenti separati essi hanno uguale valore probatorio.

Una precisazione sul CMR elettronico: esso ha lo stesso valore del CMR cartaceo, ma non si considera a tutti gli effetti documento informatico in quanto privo di “riferimento temporale” e “sottoscrizione elettronica”; il CMR elettronico si qualifica, pertanto, giuridicamente, come documento analogico, ed andrà quindi stampato su carta per avere rilevanza giuridica e tributaria (V. RM 158/E/2009).

Infine, i documenti di trasporto hanno valenza probatoria se conservati con le fatture, la documentazione bancaria e gli elenchi Intrastat. Il fornitore dovrà, quindi, acquisire e conservare i mezzi di prova con l’ordinaria diligenza e rendere disponibili i documenti per gli eventuali controlli dell’Agenzia.

CORTE UE: quando sono esenti IVA le prestazioni mediche estetiche

La Corte di Giustizia UE, con sentenza 21 marzo 2013, causa C-91/12, ha stabilito che nell’ambito delle cure mediche (art. 132, lett. b) direttiva IVA) e delle prestazioni mediche (art. 132, lett. c) direttiva IVA) rientrano prestazioni che hanno lo scopo di diagnosticare, di curare e, se possibile, di guarire malattie o problemi di salute.
Al riguardo, sebbene le “cure mediche” e le “prestazioni mediche [alla persona]” debbano avere uno scopo terapeutico, non ne consegue necessariamente che la finalità terapeutica di una prestazione debba essere tuttavia intesa in un’accezione particolarmente rigorosa.
Sono quindi esenti ex art. 132, lett. b) e c) della direttiva IVA, solo quelle prestazioni che hanno lo scopo di diagnosticare, curare o guarire malattie o problemi di salute o di tutelare, mantenere o ristabilire la salute delle persone.

Le prestazioni di servizi consistenti in operazioni di chirurgia estetica e in trattamenti di carattere estetico sono quindi esenti IVA, solo se tali prestazioni hanno lo scopo di diagnosticare, curare o guarire malattie o problemi di salute o di tutelare, mantenere o ristabilire la salute delle persone.

Secondo la Corte, inoltre, “le semplici convinzioni soggettive che sorgono nella mente della persona che si sottopone a un intervento di carattere estetico non sono, di per sé, determinanti ai fini della valutazione della questione se tale intervento abbia scopo terapeutico”. Tale valutazione, poiché presenta carattere medico, deve basarsi su constatazioni effettuate da personale qualificato.

Morale: l’intervento di tipo cosmetico, fine a se stesso (senza scopo terapeutico), non rientra tra quelli esenti e di conseguenza paga l’IVA.

In Italia le prestazioni mediche devono essere valutate in relazione alla loro natura, a nulla incidendo la forma giuridica rivestita dal soggetto che le rende (RM 119/E/2003 ; RM 167/E/2003; Cass. 21703/2010).