DL 16/2012: nuovo termine di presentazione per dichiarazioni d’intento

Con il DL 16/2012, a partire dal 2/3/2012 entra in vigore una disposizione di semplificazione degli adempimenti tributari relativa alle dichiarazioni d’intento.

Ex art. 1, co. 1, lett. c), DL 746/1983, il fornitore che effettua cessioni di beni o prestazioni di servizi senza applicazione d’imposta, sulla base della dichiarazione di intento rilasciata dall’acquirente esportatore abituale, deve comunicare telematicamente all’Agenzia delle Entrate entro il giorno 16 del mese successivo (v. CM 41/E/2005) i dati contenuti nella dichiarazione ricevuta.

Ex DL 16/2012, l’invio della comunicazione va ora effettuato entro il termine di effettuazione della prima liquidazione periodica IVA, mensile o trimestrale, nella quale confluiscono le operazioni realizzate senza applicazione dell’IVA.

Esempio: dichiarazione di intento ricevuta nel mese di marzo, prima operazione senza applicazione dell’IVA effettuata nel mese di giugno:
  • con la vecchia normativa la dichiarazione di intento doveva essere inviata entro il 16/4;
  • con la nuova normativa la dichiarazione di intento va inviata entro il 16/7 (contr. mensile) o entro il 16/8 (contr. trimestrale).
Ex art. 3, co. 2, D.Lgs. 472/1997 (favor rei), alle eventuali violazioni commesse per la tardiva presentazione delle dichiarazioni di intento ricevute in vigenza della vecchia normativa, non si applicano le relative sanzioni (art. 7, co. 4-bis, D.Lgs. 471/1997, dal 100% al 200% dell’imposta) qualora la trasmissione sia avvenuta entro i nuovi termini.
Esempio: Dichiarazione di intento ricevuta nel mese di gennaio, comunicazione effettuata entro il 15/3 (in ritardo rispetto al termine del 16/2). La prima operazione senza applicazione dell’IVA è effettuata nel mese di febbraio. Per effetto del favor rei, la tardiva presentazione non può essere sanzionata in quanto il nuovo termine di presentazione è fissato al 16/3.

PLAFOND: status di esportatore abituale anche senza dichiarazione annuale IVA

L’esportatore abituale non perde il diritto ad effettuare acquisti senza applicazione dell’IVA se ha omesso di presentare la dichiarazione IVA per l’anno precedente, ma può comunque dimostrare di aver compiuto l’anno prima le operazioni  che gli attribuiscono lo status di esportatore abituale. Lo ha stabilito la C.T. R. di Torino, con sentenza  69/26 del 22 settembre 2011.

Ex art. 8, co.1, lett. c), e co.2, DPR 633/1972, gli esportatori abituali possono effettuare acquisti di beni e servizi nello Stato e importazioni di beni dall’estero senza applicazione dell’IVA, a condizione che i beni acquistati siano destinati ad  essere esportati come tali o previa trasformazione, lavorazione e simili e che i servizi siano inerenti a tali operazioni. Tale beneficio della non applicazione dell’IVA spetta entro un plafond, costituito dall’ammontare complessivo delle operazioni con l’estero (esportazioni  dirette  e  indirette, operazioni assimilate, servizi internazionali e operazioni intracomunitarie) che l’esportatore abituale ha registrato:

  • per  l’anno solare precedente (plafond fisso),
  • oppure, su opzione, per i dodici mesi precedenti (plafond mobile).

Per potersi avvalere del regime di non imponibilità sugli acquisti, nel limite del plafond, è necessario:

  • lo status di esportatore abituale se, ex art. 1 DL 746/1983, l’ammontare dei corrispettivi delle cessioni all’esportazione effettuate (art.8 lett. a) e b) DPR 633/1972), registrate nell’anno precedente, è superiore al 10% del volume d’affari  escluse le cessioni di beni in transito o depositati nei luoghi soggetti a vigilanza doganale;
  • che il contribuente che intende avvalersi della facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione dell’imposta consegni o spedisca al fornitore o prestatore una dichiarazione d’intento.

Nel caso specifico oggetto della sentenza, l’Ufficio aveva emesso un avviso di accertamento nei confronti di un contribuente che aveva effettuato acquisti in regime di non imponibilità, ma non aveva presentato la dichiarazione annuale IVA relativa all’anno precedente, da cui si sarebbe potuto desumere il possesso dei requisiti per qualificarsi come esportatore abituale: l’Amministrazione finanziaria, pertanto, aveva disconosciuto il diritto a effettuare tali acquisti in regime di non imponibilità e aveva così determinato la maggiore IVA dovuta.

Il contribuente impugnava l’accertamento, allegando documentazione consistente in un elenco riepilogativo delle cessioni intracomunitarie effettuate l’anno precedente, rilasciato dall’Agenzia delle Dogane, dimostrando con tale materiale probatorio, di aver effettuato l’anno prima le operazioni necessarie a consentirgli di assumere la qualifica di esportatore abituale e di poter beneficiare, quindi, del regime di non imponibilità sugli acquisti dell’anno accertato: tale tesi veniva accolta dalla C.T.P. (primo grado).

L’Ufficio ricorre in appello, affermando che il diritto all’utilizzo del plafond IVA spetta solo ai soggetti che, oltre ad essere in possesso dei requisiti sostanziali, abbiano anche adempiuto alle formalità richieste dalla legge, tra cui la presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno precedente a quello a cui si riferisce l’utilizzo del plafond.

La C.T.R. (secondo grado) non ha condiviso tale assunto, stabilendo che la mancata presentazione della dichiarazione IVA dell’anno precedente non esclude dal beneficio in oggetto, e riferendosi a una sentenza della Cassazione (sentenza n. 9028/2011) che stabilisce che la sussistenza del diritto ad effettuare acquisti in regime di non imponibilità deve desumersi dal comportamento “concreto” del contribuente, purché verificabile.

Nel caso di specie, lo stesso Ufficio aveva accertato il volume d’affari del contribuente nell’anno precedente; inoltre, dalla documentazione rilasciata dall’Agenzia delle Dogane si desumeva l’ammontare complessivo delle operazioni rilevanti ai fini del plafond: in base a  tali dati, risultava chiaramente che il contribuente nell’anno precedente aveva effettuato cessioni intracomunitarie per il 47,42% del suo volume d’affari, dandogli così la qualifica di esportatore abituale per l’anno dopo (oggetto di accertamento).

Si precisa però che il riferimento alla sentenza della Cassazione fatto dalla C.T.R. di Torino parla di una fattispecie diversa rispetto all’omessa presentazione della dichiarazione IVA dell’anno prima: la Cassazione infatti, con tale pronuncia, ha solo stabilito che l’opzione per il plafond mobile, se omessa nel quadro VC della dichiarazione annuale IVA, può comunque desumersi per comportamento concludente.

EXPORT: rileva il comportamento concludente per esportatori abituali

Fonte: Eutekne.info

Autore: S. Cerato e M.Bana

Data: 20/04/2011

Per la Cassazione, l’omessa compilazione del quadro VC non incide sul regime di esonero dall’imposta

La mancata segnalazione dell’opzione per il regime del plafond non legittima la contestazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di acquisti in esenzione IVA oltre il limite spettante, in violazione dell’art. 8, co.1, lett. c), DPR 633/1972.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9028/2011, ritiene irrilevante l’omessa compilazione del quadro VC della dichiarazione IVA – e, quindi, l’indicazione dell’esercizio della facoltà dell’acquisto senza l’applicazione dell’imposta – destinato ad accogliere il riepilogo, suddiviso per mese, delle operazioni attive generatrici del plafond dell’esportatore abituale e di quelle passive effettuate in virtù di tale proprio status. In particolare, i giudici tributari hanno accolto le ragioni del contribuente, secondo cui le opzioni riguardanti il regime dell’IVA possono essere altresì manifestate mediante comportamenti concludenti, coerenti e adeguatamente uniformati alla tenuta della contabilità obbligatoria: al ricorrere di tale ipotesi, deve, infatti, ritenersi prospettabile, ad avviso dei supremi giudici tributari, una mera violazione formale.

Fondamento di tale orientamento, in primo luogo, l’art. 1, co.1, DPR 442/1997, per effetto del quale l’opzione e la revoca dei regimi di determinazione dell’imposta si desumono dai comportamenti concludenti del contribuente, ovvero dalle modalità di tenuta delle scritture contabili. La disposizione stabilisce, inoltre, che la validità dell’opzione, e della relativa revoca, è subordinata esclusivamente alla propria concreta attuazione sin dall’inizio dell’anno o dell’attività: tale principio ha trovato applicazione nel consolidato e costante pronunciamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. n.11170/2006; n. 2810/2005; n. 10599/2003; n. 9885/2002).

Conseguentemente, l’omessa compilazione del quadro VC non determina l’inefficacia del regime di esonero dall’applicazione dell’imposta, bensì la mera irrogazione delle sanzioni previste in caso di omessa oppure irregolare comunicazione, purché il contribuente:

  • goda effettivamente dello status di esportatore abituale, ovvero soddisfi i requisiti ex art. 1, co.1, lett. a), [download id=”0″], avendo effettuato – nell’anno solare precedente (c.d. plafond fisso), oppure negli ultimi dodici mesi (c.d. plafond mobile) – un ammontare di esportazioni, o altre operazioni rilevanti con l’estero, superiore al 10% del volume d’affari;
  • abbia predisposto e inviato al proprio fornitore, prima dell’effettuazione dell’operazione, la dichiarazione d’intento, in duplice esemplare, su modello conforme a quello approvato con il DM 6 dicembre 1986, al fine di attestare, sotto la propria responsabilità, la qualifica di cui al punto precedente, e richiedere la non applicazione dell’IVA, ex art. 8, co.1, lett. c), DPR 633/1972.

La Cassazione ha, invece, disatteso il secondo motivo del ricorso del contribuente, riguardante la ripresa a tassazione di costi ritenuti privi del requisito dell’inerenza (art. 109 DPR n. 917/1986), ritenendolo inammissibile, a causa della propria natura, incompatibile con l’ottemperanza alle prescrizioni di cui all’art. 366-bis del codice di procedura civile. La decisione conferma, quindi, l’orientamento della precedente sentenza n. 3519/2008: i quesiti di diritto – dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – non possono essere meramente generici e teorici, ma devono essere calati nella fattispecie concreta, al fine di consentire alla Corte di comprendere, sulla base della sola lettura, il presunto errore compiuto dal giudice e la regola applicabile

INTRASTAT: omessa presentazione e dichiarazione fraudolenta

Si segnala la seguente sentenza della Cassazione, nr. 8962 del 08/02/2011, in cui si stabilisce che l’omessa presentazione degli elenchi Intrastat non costituisce di per sè reato di dichiarazione fraudolenta (ex art.3 D.Lgs 74/2000): il reato in questione infatti scatta solo se viene accertata nei confronti del fisco la frode.

La frode infatti – precisa la Suprema corte – si ha quando il contribuente indichi nella dichiarazione annuale importi inferiori a quelli effettivi o elementi passivi fittizi (che  superino gli importi ivi indicati), inoltre è anche necessario il dolo specifico del fine di evadere le imposte sui redditi o sull’IVA, e che ciò avvenga sulla base di una falsa rappresentazione  delle scritture contabili e che il soggetto si sia avvalso di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento della falsa rappresentazione.

Quindi omettere la presentazione dell’Intrastat configura un illecito amministrativo, non essendo sufficiente di per sè ai fini del reato di dichiarazione fraudolenta.

La sentenza in questione riguarda una attività di importazione di auto dalla Germania.