PLAFOND IVA: dichiarazione intento cumulativa in dogana RM 38/E/2015

Con RM 38/E/2015 l’Agenzia Entrate ha chiarito che è possibile presentare una unica dichiarazione d’intento cumulativa in dogana con riferimento a più operazioni di importazione, fino a concorrenza del plafond utilizzabile nell’anno di riferimento.

Ex art. 1 co. 1 lett. c) DL 746/83, come modificato ex DLgs. 175/2014, l’intento di avvalersi della facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione dell’IVA deve risultare da apposita dichiarazione trasmessa telematicamente all’Agenzia Entrate, la quale rilascia una ricevuta, che deve essere consegnata insieme alla dichiarazione al fornitore o in Dogana: la norma non prevede, dunque, alcuna limitazione all’utilizzo del plafond, nella dichiarazione di intento, al fine di effettuare importazioni senza applicazione dell’IVA.

Ex art. 20 DLgs. 175/2014, l’Agenzia Entrate deve poi anche mettere a disposizione dell’Agenzia Dogane la banca dati delle dichiarazioni d’intento per l’attività di controllo, quindi, essendoci i dovuti controlli come succede per gli acquisti di beni e servizi da fornitori nazionali, una dichiarazione d’intento può ben riguardare diverse operazioni doganali di importazione, fino a concorrenza del plafond IVA utilizzabile nell’anno di riferimento.

L’importatore quindi ad oggi può compilare tanto il campo 1 quanto il campo 2 del modello di dichiarazione d’intento:

  • non deve più indicare obbligatoriamente, nel campo 1 della dichiarazione d’ intento, il valore dell’operazione alla quale la dichiarazione si riferisce;
  • può invece utilizzare anche per le importazioni (come per gli acquisti di beni e servizi da fornitori nazionali), il campo 2 della dichiarazione intento, ove indicare l’ammontare del plafond che si intende utilizzare per gli acquisti senza applicazione dell’IVA, inserendo in quest’ultimo caso l’importo corrispondente all’ammontare della quota parte del plafond IVA che l’operatore presume di utilizzare per effettuare importazioni nel periodo di riferimento

Il dubbio nasceva dalla RM 27 luglio 1985 n. 355235 (ora da ritenersi superata), in cui si sosteneva che “nel caso di importazioni di beni la dichiarazione d’intento deve essere presentata in dogana per ogni singola operazione specificando il relativo importo”, poichè all’epoca si dovevano effettuare i riscontri per ciascuna singola operazione doganale. Secondo tale RM sono state predisposte anche le istruzioni per la compilazione del modello di dichiarazione di intento (con il provvedimento n. 19388 dell’11/02/2015) che, dovranno quindi essere aggiornate.

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PLAFOND IVA: istruzioni per utilizzo in Dogana

L’Agenzia Dogane, con nota 11/02/2015 n. 17631 ha dato le istruzioni per l’utilizzo in Dogana del nuovo modello di dichiarazione d’intento, tenendo conto del fatto che per poter effettuare importazioni senza applicazione dell’IVA ex art. 68 co.1 lett. a) DPR 633/1972:

  • la presentazione della dichiarazione di intento deve essere per ora cartacea, con la ricevuta dell’Agenzia Entrate, ; la banca dati delle dichiarazioni di intento trasmesse all’Agenzia Entrate non è ancora stata messa a disposizione delle Dogane, ex art. 20 co. 3 DLgs. 175/2014 (il termine previsto è il 12/04/2015, 120 giorni dalla data di pubblicazione).
  •  la base imponibile IVA delle importazioni, determinata ex art. 69 DPR 633/1972, comprende elementi (dazi, spese di inoltro) che non sono necessariamente noti al momento di emissione della lettera di intento, pertanto viene chiarito che, a prescindere da quanto indicato sulla dichiarazione di intento, il plafond utilizzato sarà quello risultante dalla dichiarazione doganale di importazione.

Di seguito alla nota delle Dogane si è avuto il provv. Agenzia Entrate n. 19388 dell’11/02/2015, che ha aggiornato il modello di dichiarazione di intento sulla base di quanto previsto sopra per le importazioni senza applicazione dell’IVA.

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IMPORT: impugnabile la rettifica doganale del valore di merci importate

Fonte: Fisco Oggi

Data: 17/07/2014

Autore: Giurisprudenza delle imposte edito da ASSONIME

La normativa nazionale che prevede due distinti mezzi di ricorso per contestare le decisioni delle autorità non pregiudica né il principio di equivalenza né il principio di effettività

Con la sentenza in rassegna (cause riunite n. C-29/13 e C-30/13), la Corte di giustizia è stata chiamata a pronunciarsi nell’ambito di una controversia in tema di rettifica del valore in dogana di merci importate.
In particolare, nel caso di specie, le autorità doganali nazionali (bulgare) avevano effettuato il controllo delle dichiarazioni di importazione e degli annessi documenti, presentati dalla società ricorrente, nonché proceduto alla verifica delle merci: nel dubbio se il valore dichiarato rappresentasse il prezzo effettivamente pagato o da pagare, le predette autorità avevano prelevato campioni sulle merci e chiesto informazioni supplementari alla società importatrice, che non era stata in grado di rispondere, salvo aggiungere che il contratto di vendita internazionale prevedeva un pagamento differito delle merci.
 
Con separate decisioni, le autorità nazionali avevano fissato un nuovo valore in dogana per una parte delle merci, determinato in applicazione del criterio previsto dall’articolo 30, paragrafo 2, lettera b), del codice doganale comunitario, istituito dal regolamento (Cee) n. 2913/92 del 12 ottobre 1992 (“valore di transazione di merci similari, vendute per l’esportazione a destinazione della Comunità ed esportate nello stesso momento o pressappoco nello stesso momento delle merci da valutare”); sulla base di tale rivalutazione del valore in dogana, dette decisioni avevano disposto una rettifica fiscale ai fini dell’Iva dovuta in aggiunta.
 
Al riguardo, la Corte di giustizia ha ritenuto che una decisione avente a oggetto una rettifica, sul fondamento dell’articolo 30, paragrafo 2, lettera b), del valore in dogana di merci, con conseguente notifica al dichiarante di una rettifica fiscale ai fini Iva, costituisce un atto impugnabile ai sensi dell’articolo 243 del codice doganale comunitario: dal combinato disposto degli articoli 243, paragrafi 1, e 4, punto 5, del medesimo codice, risulta invero che qualsiasi persona ha il diritto di proporre un ricorso avverso ogni decisione adottata dalle autorità doganali relativa all’applicazione della normativa doganale e che la riguarda direttamente e individualmente; le decisioni in esame riguardano, appunto, l’applicazione della normativa doganale (rettifica del valore in dogana di merci) e producono effetti giuridici diretti sulla società importatrice, poiché fanno sorgere a carico di essa un credito Iva a vantaggio dello Stato nazionale.
 
Con un’altra questione portata all’attenzione dei giudici comunitari, si chiedeva se, alla luce dei principi generali relativi al rispetto dei diritti della difesa e dell’autorità di cosa giudicata, l’articolo 245 del codice doganale osti a una normativa nazionale che prevede due distinti mezzi di ricorso per contestare le decisioni delle autorità doganali.
Sul punto, la Corte ricorda preliminarmente che, in base al citato articolo 245, le disposizioni relative all’attuazione della procedura di ricorso sono adottate dagli Stati membri. E, invero, secondo una giurisprudenza costante della Corte (vedi, segnatamente, le sentenze: 30 giugno 2011, causa n. C-262/09; 18 ottobre 2012, causa n. C-603/10), in mancanza di una disciplina dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti riconosciuti ai singoli in forza delle norme di diritto dell’Unione, a condizione, da un lato, che dette modalità non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) e, dall’altro, che esse non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività).
Quanto al principio di effettività, dagli atti di causa emerge che il debitore dell’Erario può proporre un ricorso giurisdizionale contro una decisione delle Autorità doganali anche quando i mezzi di ricorso amministrativo non sono stati esperiti, a meno che il codice di procedura amministrativa o una legge speciale non disponga diversamente; d’altro lato, il debitore dell’Erario ha altresì la possibilità di contestare dinanzi al direttore doganale una decisione di recupero forzoso di un credito pubblico, entro un termine di 14 giorni dalla notifica di tale decisione.
 
La Corte di giustizia ha quindi ritenuto che, da un lato, il principio di equivalenza è rispettato, poiché i due mezzi di ricorso si applicano indipendentemente dalla questione se l’oggetto della controversia risulti dal diritto dell’Unione o dal diritto nazionale; dall’altro, il rispetto del principio di effettività è garantito, in quanto i due ricorsi riguardano due atti amministrativi che sono adottati in fasi diverse della procedura doganale e che sono distinti in relazione al loro oggetto e al loro fondamento giuridico.
 
La Corte ha poi richiamato l’articolo 243, paragrafo 2, del codice doganale comunitario, secondo cui “il ricorso può essere esperito, in una prima fase, dinanzi all’autorità doganale designata a tale scopo dagli Stati membri; in una seconda fase, dinanzi ad un’istanza indipendente, che può essere un’autorità giudiziaria o un organo specializzato equivalente, in conformità delle disposizioni vigenti negli Stati membri”.
Al riguardo, è ribadito che, dalla formulazione di tale disposizione, non risulta che il ricorso dinanzi all’autorità doganale costituisca una fase obbligatoria prima dell’introduzione del ricorso dinanzi a un’istanza indipendente (cfr sentenza 11 gennaio 2001, causa n. C-1/99); spetta al diritto nazionale determinare se gli operatori debbano, in un primo momento, proporre un ricorso dinanzi alle autorità doganali o se essi possano adire direttamente l’autorità giudiziaria indipendente.
Pertanto, l’articolo 243 del codice doganale non subordina la ricevibilità di un ricorso giurisdizionale avverso le decisioni adottate sul fondamento dell’articolo 181-bis, paragrafo 2, del regolamento n. 2454/93, alla condizione che i mezzi di ricorso amministrativo ammessi contro tali decisioni siano stati previamente esperiti.
 
Riguardo al diritto dell’interessato di essere sentito e di sollevare obiezioni, i giudici comunitari hanno rilevato che, sebbene l’articolo 181-bis, paragrafo 2, preveda l’obbligo per le autorità doganali, prima di adottare una decisione definitiva, d’informare la persona interessata dei motivi sui quali tali dubbi sono fondati e di concederle una ragionevole possibilità di manifestare il proprio punto di vista, la violazione di tale obbligo da parte delle autorità doganali non può tuttavia incidere sul carattere definitivo della decisione né sulla qualifica come decisione dell’atto adottato, in quanto esso produce comunque effetti giuridici nei confronti del suo destinatario, comportando la determinazione di un nuovo valore in dogana delle merci e costituendo così una decisione a norma dell’articolo 4, punto 5, del codice doganale; per contro, la violazione del diritto della persona interessata di essere sentita inficia detta decisione di un’illegittimità che può formare oggetto di un ricorso diretto dinanzi a un’autorità giudiziaria indipendente.
 
La Corte ha quindi concluso che, in caso di violazione del diritto dell’interessato di essere sentito e di sollevare obiezioni, spetta al giudice nazionale determinare, tenuto conto delle circostanze particolari della fattispecie sottopostagli e alla luce dei principi di equivalenza e di effettività, se, qualora la decisione adottata in violazione del principio relativo al rispetto dei diritti della difesa debba essere annullata per tale motivo, esso sia tenuto a pronunciarsi sul ricorso proposto contro tale decisione o possa considerare un rinvio della controversia all’autorità amministrativa competente.

DOGANA/IMPORT: controlli automatizzati per la corretta compilazione della dichiarazione doganale di importazione

Fonte: Agenzia Dogane – comunicato del 19/06/2014

L’Agenzia Dogane informa che per agevolare gli operatori economici nella compilazione della dichiarazione doganale di importazione, evitando errori che potrebbero portare a sanzioni, nel sistema AIDA sono stati implementati nuovi controlli automatizzati che, in base alle informazioni presenti nella TARIC e degli elementi della dichiarazione (codice merce, provenienza, preferenze, etc.), segnalano gli errori di compilazione.

A partire dal 24/06/2014, quindi, in fase di accettazione di una dichiarazione doganale di importazione che richieda particolari preferenze tariffarie saranno attivati ulteriori controlli finalizzati alla verifica della corretta compilazione, in particolare su quanto indicato nelle seguenti caselle:

  • casella 33 Cadd: va verificata la presenza di tutti i CADD necessari
  • casella 36 Preferenze: indicare un codice preferenza coerente con quanto previsto nella Taric
  • casella 47 Codice tributo: Il codice tributo A10 non sarà più dichiarabile ( utilizzare il codice A00)

Maggiori informazioni relativamente ai CADD richiesti per la compilazione della dichiarazione possono essere acquisite consultando la TARIC dal sito dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.