INTRA UE: cessioni non imponibili anche con codice IVA errato

La Cassazione, con sentenza 17254/2014, ha stabilito che la mancanza del codice IVA corretto non può far venir meno l’esenzione IVA, se il cedente prova tutti i requisiti sostanziali della cessione intra UE, dunque non viene meno la non imponibilità IVA delle cessioni intra UE nel caso in cui il cedente IT abbia indicato nella fattura emessa un codice IVA del cessionario UE non corretto, se sussistono comunque gli elementi sostanziali della cessione intra UE.

Ex art. 138 Direttiva 2006/112/CE sono esenti da IVA le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio ma nella UE, dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni. I soggetti che effettuano acquisti intra UE  sono identificati ex art. 214 mediante numero individuale IVA e tale numero va riportato nella fattura del cedente.

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INTRA UE: cessione intra non imponibile anche se non è indicata la partita IVA del cessionario

Una cessione intra UE è non imponibile anche se non è indicata in fattura la partita IVA del cessionario UE: si tratta infatti di una mera violazione formale, quando sono presenti tutti gli elementi sostanziali che caratterizzano la cessione intracomunitaria. E’ questa la conclusione della CTP Firenze (sentenza 137/10/13), che dà torto all’agenzia delle Entrate che aveva riqualificato tutte le cessioni come cessioni nazionali, con conseguente applicazione dell’IVA.

L’agenzia Entrate si era basata sulla CM 85/E/1999 che ai fini del riconoscimento della non imponibilità imponeva al cedente nazionale di indicare in fattura la partita IVA del cessionario UE.

La CTP Firenze invece ha recepito nella sentenza i più recenti orientamenti della Corte di Giustizia UE (causa C-587/10 del 27/09/2012, causa C-273/11 del 6/09/2012). Anche la Cassazione aveva già con la sentenza 12455/2007 stabilito che la mancata indicazione in fattura della partita IVA del cessionario UE non esclude di per sè l’operazione dall’ambito della non imponibilità, anche se le irregolarità formali delle fatture possono avere un loro rilievo sanzionatorio.

Non imbarca l’IVA il peschereccio che fa il rifornimento di gasolio

Fonte: Fisco Oggi

Autore: E. Ceci – S. Torraco

Data: 01/02/2012

Soltanto il vettovagliamento tra le provviste di bordo che scontano l’imposta. Escluse, invece, le scorte che assicurano l’alimentazione e il funzionamento dei motori

I rifornimenti di carburanti e lubrificanti destinati alle navi da pesca costiera usufruiscono del regime di non imponibilità Iva. Il chiarimento è nella [download id=”6771″] dell’1 febbraio. Il documento affronta la questione della portata applicativa dell’articolo 8, co.2, lett. e), n. 4), della legge comunitaria 2010 (n. 217/2011) che, introducendo rilevanti cambiamenti normativi in materia di IVA finalizzati al recepimento nell’ordinamento italiano delle direttive comunitarie 2009/69/CE e 2009/162/UE, ha tra l’altro modificato, a decorrere dal 17 gennaio 2012, l’articolo 8-bis, comma 1, lettera d), DPR 633/1972, concernente le operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione, per le quali si applica il regime di non imponibilità IVA.

Dubbi interpretativi
La precedente versione dell’articolo 8-bis, co.1, lett. d), DPR 633/1972, assimilava alle cessioni all’esportazione “le cessioni di apparati motori e loro componenti e di parti di ricambio degli stessi e delle navi e degli aeromobili di cui alle lettere precedenti, le cessioni di beni destinati a loro dotazione di bordo e le forniture destinate al loro rifornimento e vettovagliamento, comprese le somministrazioni di alimenti e di bevande a bordo ed escluso, per le navi adibite alla pesca costiera locale, il vettovagliamento“.

La norma comunitaria, nell’individuare, per le navi adibite alla pesca costiera, quali forniture non possono godere della non imponibilità, ha sostituito il termine “vettovagliamento” con l’espressione “provviste di bordo utilizzata dall’articolo 148, lettera a), della direttiva 2006/112/CE.
Ciò ha comportato incertezze interpretative in ordine all’applicabilità del regime di non imponibilità alle forniture di carburante utilizzato per le suddette imbarcazioni.

Il dubbio deriva, in particolare, dall’articolo 252 DPR 43/1973 (TULD), in base al quale, nel novero delle provviste di bordo delle navi, rientrano “i generi di consumo di ogni specie occorrenti a bordo per assicurare l’alimentazione degli organi di propulsione della nave e il funzionamento degli altri macchinari e apparati di bordo“. Di conseguenza, nella definizione di provviste di bordo, ricadrebbero anche il carburante e il lubrificante utilizzato per l’alimentazione degli organi di propulsione della nave.

La soluzione dell’Agenzia delle Entrate
Poiché la modifica dell’articolo 8-bis è stata apportata nell’ottica di rendere il testo della disposizione interna più aderente a quello della norma comunitaria, la soluzione dell’Amministrazione finanziaria prende le mosse dall’esame della versione in lingua italiana dell’articolo 148, lettera a), della direttiva 2006/112/Ce, ai sensi del quale gli Stati membri esentano “le cessioni di beni destinati al rifornimento e al vettovagliamento delle navi adibite alla navigazione in alto mare e al trasporto a pagamento di passeggeri o utilizzate nell’esercizio di attività commerciali, industriali e della pesca, nonché delle navi adibite ad operazioni di salvataggio ed assistenza in mare e delle navi adibite alla pesca costiera, salvo, per queste ultime, le provviste di bordo“.
L’analisi testuale porta a ritenere che il termine “provviste di bordo” non possa essere identificato con i “beni destinati al rifornimento e al vettovagliamento“, ai quali si riferisce la prima parte della norma, altrimenti per le navi adibite alla pesca costiera non ci sarebbe alcun margine per l’applicazione del regime di non imponibilità previsto dall’articolo 148 della direttiva.

A sostegno di tale interpretazione, l’Agenzia fa riferimento alla versione in lingua inglese del medesimo articolo 148, la quale utilizza, per le operazioni in regime di non imponibilità, le espressioni “fuelling” (rifornimento) e “provisioning” (vettovagliamento) e, per l’esclusione dal regime di non imponibilità, il termine “ships’ provisions” (vettovagliamento).
Dall’analisi comparata dei testi, risulta confermato che il termine “provviste di bordo” è usato nella normativa comunitaria come sinonimo di “vettovagliamento“.

Considerato, poi, che dall’iter di approvazione della legge comunitaria 2010 non risulta l’intenzione del legislatore nazionale di ampliare il significato del termine “vettovagliamento” e che sulla questione non risulta avviata una procedura di infrazione nel confronti dello Stato italiano, l’Agenzia delle Entrate conclude che alla modifica normativa possa attribuirsi una finalità esclusivamente redazionale che NON incide sulla portata del regime di non imponibilità applicabile al rifornimento di carburante delle navi adibite alla pesca costiera.

Sulla base di queste argomentazioni, ai soli fini dell’interpretazione dell’articolo 8-bis DPR 633/1972, al termine “provviste di bordo” va quindi attribuito un significato più ristretto, limitato al solo vettovagliamento, rispetto a quello utilizzato ai fini doganali dall’articolo 252 del TULD.