REVERSE CHARGE: prevalenza inversione contabile su regola generale

La regola generale, che individua il debitore dell’IVA nel cedente o prestatore (art.17, co.1 DPR 633/1972), va derogata tutte le volte in cui disposizioni speciali obblighino, anche per le operazioni tra soggetti stabiliti in Italia, al pagamento dell’IVA il cessionario o committente.

E’ questo il senso della RM 28/E/2012.

Tale risoluzione si occupa della cessione di rottami, cascami e avanzi di metalli, stoccati in depositi ubicati in Italia, fra rappresentanti fiscali di operatori stranieri; tali cessioni sono soggette a inversione contabile ex art. 74 co.7 – 8 DPR 633/1972: non rileva quindi che ex art. 17 co.3 DPR 633/1972 il reverse charge sia escluso, quando le cessioni di beni o le prestazioni di servizi, territorialmente rilevanti in Italia, siano effettuate da un soggetto passivo non residente e privo di stabile organizzazione nel territorio dello Stato nei confronti di cessionari o committenti soggetti passivi che siano anch’essi stabiliti fuori del territorio dello Stato.

Si precisa che tale soluzione è estensibile agli altri settori, disciplinati ex art. 17, co. 5, 6 e 7, DPR 633/1972 (es. oro, subappalti edili, ecc.), rispetto ai quali l’IVA è dovuta dal destinatario del bene o del servizio, in luogo del cedente o del prestatore.

Rispetto alla RM 36/E/2011, sulle cessioni di telefonini e di dispositivi a circuito integrato, anch’esse soggette a reverse charge, le nuove indicazioni dell’Agenzia specificano che il destinatario della cessione, anche se non residente, ma identificato in Italia, è obbligato all’assolvimento dell’imposta in luogo del cedente, quindi, definitivamente chiarendo se il reverse charge si applicasse anche nell’ipotesi in cui il cessionario non residente fosse privo di identificazione in Italia, posto che la soluzione affermativa, già riconosciuta dalla CM 11/E/2007, si pone in contrasto con lo status (di “soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato”) richiesto al cessionario ex art. 17, co. 5, e art. 74, co. 7, DPR 633/1972, così come interpretato dalla RM 36/E/2011.

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REVERSE CHARGE: obbligatorio per dispositivi multicore

Fonte: Fisco Oggi

Autore: A. Iacono

Data: 07/02/2012

A decidere sull’applicabilità dell’inversione contabile è la possibile utilizzazione del meccanismo all’interno dei pc e non la loro effettiva destinazione finale

Con la RM 13/E/2012 del 7 febbraio, l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti in merito all’obbligo di inversione contabile per le cessioni di dispositivi a circuito integrato.

Come è noto, l’obbligo di inversione contabile alle cessioni di tali sistemi, ex art.17, co. 6, lett. c), DPR 633/1972, è stato autorizzato, con decisione del Consiglio dell’Ue del 22 novembre 2010, limitatamente a:
a) telefoni cellulari, concepiti come dispositivi fabbricati o adattati per essere connessi a una rete munita di licenza e funzionanti a frequenze specifiche, con o senza altro utilizzo;
b) dispositivi a circuito integrato quali microprocessori e unità centrali di elaborazione prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale”.

L’Amministrazione, in risposta ad alcuni quesiti pervenuti sull’argomento, fornisce ulteriori indicazioni per meglio definire l’ambito di applicazione del reverse charge a tali congegni.
In proposito, sentita l’Agenzia delle Dogane, secondo cui i dispositivi a circuito integrato, quali le unità centrali di elaborazione, “…specie negli ultimi tempi, vengono anche realizzate con tecnologia multi-core, nel senso che la CPU è costituita da più core, ovvero da più nuclei di processori fisici montati sullo stesso package, classificabile al codice NC 8542 3110, in base alla nota 8 b) 3) al capitolo 85 NC, l’Agenzia delle Entrate precisa che debbono essere assoggettati all’obbligo di inversione contabile anche quei dispositivi a circuito integrato, quali componenti di personal computer, riconducibili al codice NC 8542 3110.

Il chiarimento segue quanto già precisato con la RM 36/E/2011 riguardo all’individuazione dei dispositivi a circuito integrato da assoggettare a reverse charge. Il documento di prassi specificava che ricadono “nell’ambito applicativo del reverse charge anche quei dispositivi comunque riconducibili ai concetti di Circuiti integrati elettronici di cui al codice NC 8542 3190 della nomenclatura tariffaria e statistica ed alla tariffa doganale comune di cui all’allegato I del Regolamento CEE) n. 2658/87 del Consiglio”.

Il riferimento ai codici NC 8542 3190 e NC 8542 3110 intende individuare, in modo più oggettivo possibile, al fine di soddisfare esigenze di certezze degli utenti, i meccanismi a circuito integrato che devono essere assoggettati all’obbligo di inversione contabile.
Precisa, infine, l’Agenzia che, ai fini dell’applicazione del regime, rileva l’oggettiva riferibilità dei beni di cui ai predetti codici NC a personal computer o apparati analoghi. Il sistema dell’inversione contabile deve pertanto essere applicato a microprocessori e unità centrali di elaborazione individuati in base al codice NC 85423190 e 85423110 in quanto oggettivamente idonei a essere inseriti in personal computer o sistemi simili, a prescindere dal fatto che siano destinati a essere incorporati in tali apparecchi o in altri congegni come, ad esempio, gli elettrodomestici.

L’Amministrazione aveva già fornito chiarimenti in materia con la circolare n. 59/2010 e, in particolare, come anticipato, con la risoluzione n. 36/2011, con la quale è stato precisato che:

  • l’inversione contabile trova applicazione per le sole cessioni dei beni effettuate nella fase distributiva che precede il commercio al dettaglio e non per le attività di commercio al minuto e attività assimilate, previste dall’articolo 22 del Dpr 633/1972. Ne consegue che sono escluse dall’obbligo di reverse charge le cessioni dei beni effettuate da commercianti al minuto autorizzati in locali aperti al pubblico, in spacci interni, mediante apparecchi di distribuzione, per corrispondenza, a domicilio o in forma ambulante
  • sono esclusi dall’obbligo di reverse charge anche i soggetti diversi da quelli individuati dall’articolo 22 del Dpr 633/1972 che, tuttavia, effettuano il trasferimento dei beni in argomento direttamente a utilizzatori finali. Si tratta delle ipotesi in cui la fornitura del telefono cellulare sia accessoria alla fornitura del “traffico telefonico”, anche nelle ipotesi in cui, nell’ambito del medesimo rapporto principale di cessione del traffico telefonico siano ceduti all’utente (titolare di una o più Simcard) più cellulari che appaiono, ragionevolmente, riconducibili a un rapporto di accessorietà con l’operazione principale. Circostanza sussistente quando i telefoni ceduti non eccedono di oltre il 10% il numero delle Simcard consegnate all’utente.

Legge Comunitaria 2010: 1) prestazioni di servizi – momento di effettuazione e integrazione

MOMENTO DI EFFETTUAZIONE (in vigore dal 17 marzo 2012).

La Legge Comunitaria 2010 (L.217/2011)  ha introdotto una deroga al principio generale (solo italiano) secondo cui le prestazioni di servizi si considerano effettuate al momento del pagamento del corrispettivo.

Ex nuovo art. 6, co.6 DPR 633/1972 le prestazioni di servizi generici ex art. 7-ter DPR 633/1972 (quindi non le prestazioni ex art.7 quater e quinquies DPR 633/1972) rese/ricevute con soggetti passivi non stabiliti in Italia:

  • si considerano effettuate al momento di ultimazione delle prestazioni (SOLO se antecedente, alla data di pagamento del corrispettivo);
  • se hanno carattere periodico o continuativo, si considerano effettuate alla data di maturazione dei corrispettivi (SOLO se antecedente, alla data di pagamento del corrispettivo);
  • se rese in modo continuativo, con durata ultrannuale e senza pagamenti parziali nello stesso periodo, si considerano effettuate al 31/12 di ciascun anno solare, finché non concluse (in tal caso la base imponibile è costituita dalle spese sostenute dal prestatore per l’esecuzione dei servizi – v. CM 37/E/2011).

La finalità principale della norma è quella di sincronizzare le operazioni intra UE, in modo che sia il fornitore sia l’acquirente inviino gli INTRASTAT per lo stesso periodo d’imposta, quindi per queste prestazioni di servizi l’emissione anticipata della fattura rispetto alla data di ultimazione della prestazione o del pagamento del corrispettivo sarà irrilevante.

Nulla cambia invece per prestazioni ex artt. 7-quater e 7-quinquies, DPR 633/1972, operazioni con altri soggetti passivi italiani o con privati consumatori non residenti, che continueranno a essere disciplinate ex art. 6, co. 3 e 4, DPR 633/1972 (data di pagamento del corrispettivo o, se antecedente, data di emissione della fattura).

INTEGRAZIONE OBBLIGATORIA (in vigore dal 17 marzo 2012).

La Legge Comunitaria 2010 (L.217/2011) ha aggiunto un periodo all’art. 17, co.2 DPR 633/1972, prevedendo che:

  • se il committente italiano riceve una prestazione di servizi generici da un soggetto UE, deve integrare la fattura ricevuta e non può più scegliere tra emissione dell’autofattura o integrazione (v. CM 12/E/2010);
  • la registrazione nel registro delle fatture emesse (art. 23) o corrispettivi (art. 24) e la registrazione nel registro degli acquisti (art. 25) deve avvenire entro il mese di ricevimento della stessa o anche successivamente, comunque entro 15 giorni dal ricevimento, e con riferimento al relativo mese.

Quindi nel caso di prestazioni generiche rese a un committente nazionale da un soggetto passivo stabilito in un altro paese UE, l’IVA deve essere assolta dall’operatore nazionale come per gli acquisti intra UE (artt. 46 e 47 DL 331/1993), cioè integrando la fattura.

Si precisa che invece l’IVA continuerà ad essere assolta mediante emissione di autofattura alla data del pagamento del corrispettivo nei seguenti casi:

  • prestazioni ex art. 7-ter DPR 633/1972 ricevute da soggetti passivi extra UE;
  • prestazioni ex artt. 7-quater e quinquies DPR 633/1972 ricevute da soggetti passivi UE/extra UE;

Infine si ritiene che il committente italiano sia tenuto a regolarizzare l’operazione (ex art.46 co.5 DL 331/1993) nei seguenti casi:

  • in caso di mancato ricevimento della fattura per servizi generici emessa dal prestatore UE entro il mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione (mese di ultimazione del servizio o, se antecedente, di pagamento), il committente sarà tenuto ad emettere, entro il mese successivo, autofattura in unico esemplare con indicazione del numero di identificazione attribuito al prestatore dallo Stato UE di appartenenza;
  • in caso di ricevimento di fattura con corrispettivo inferiore a quello reale, il committente italiano dovrà emettere entro  15 giorni successivi alla registrazione della fattura originaria, autofattura integrativa.

LEGGI ANCHE:

>>>> 2) Legge Comunitaria 2010: Cessioni all’esportazione

>>>> 3) Legge Comunitaria 2010: Rimborso credito IVA trimestrale

>>>> 4) Legge Comunitaria 2010: Importazioni

>>>> 5) Legge Comunitaria 2010: Operazioni non imponibili art.72

REVERSE CHARGE: inderogabile il regime di inversione contabile IVA

Fonte: sentenza Corte di giustizia UE del 15.12.2011 procedimento C-624/10 – su Fisco Oggi

Data: 16/12/2011

Autore: A. De Angelis

A stabilirlo la Corte di Giustizia europea che è stata interrogata su tre differenti questioni pregiudiziali ma collegate tra loro da un denominatore comune

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sul ricorso presentato dalla Commissione europea con cui si contesta il comportamento della Francia che, con apposite circolari amministrative, concedeva talune deroghe rispetto al regime comunitario in materia di imposta sul valore aggiunto. In particolare  la possibilità, nell’ambito dello svolgimento di operazioni imponibili Iva tramite soggetti non residenti nel territorio nazionale, di non applicare il regime di inversione contabile e addebitare l’imposta direttamente al soggetto tenuto a nominare un proprio rappresentante fiscale per ottemperare agli obblighi di natura tributaria.

Il procedimento pre-contenzioso

La Commissione UE nel rilevare il contrasto di taluni provvedimenti amministrativi adottati dalla Francia con la normativa in materia di IVA presentava opportune osservazioni. Le autorità francesi rispondevano alle obiezioni sollevate contro i provvedimenti amministrativi controversi di voler continuare ad applicare ai soggetti passivi non residenti il regime di deroga, cd. tolleranza amministrativa, alla disciplina comunitaria IVA in merito alla nomina di un rappresentante fiscale. Alla successiva richiesta di parere motivato, presentato dalla Commissione UE, il governo francese non forniva alcuna risposta e, di conseguenza, veniva sottoposta la questione dinanzi ai giudici della Corte.

Le questioni pregiudiziali

Il procedimento, relativo alla compatibilità della normativa amministrativa nazionale con il regime comune in materia di IVA, si articola in tre distinte ma collegate questioni pregiudiziali. La prima concerne sostanzialmente l’obbligo di nomina di un rappresentante fiscale per le operazioni imponibili compiute da soggetti non residenti nel territorio francese. La seconda riguarda l’assoggettamento agli obblighi ai fini IVA del soggetto non residente rispetto al titolare di partita IVA residente. La terza concerne il meccanismo di detrazione dell’IVA che deve essere tale da permettere la compensazione, tra IVA a credito e IVA a debito, per le operazioni imponibili assoggettate ad imposta per singoli soggetti. In altri termini, la questione riguarda se il soggetto residente che versi l’IVA in nome e per conto dei propri clienti possa detrarsi l’IVA assolta o debba necessariamente chiedere un rimborso.

Le argomentazioni dei giudici 

A difesa delle proprie ragioni le autorità francesi affermano che le disposizioni amministrative controverse hanno l’ardire di semplificare gli adempimenti in materia di IVA per scoraggiare comportamenti fraudolenti o di evasione fiscale. La prevista nomina di un rappresentante fiscale, infatti, ha il solo obiettivo di rendere più agevole l’espletamento degli adempimenti IVA relativi all’operazione commerciale imponibile tra soggetto non residente e cliente. La nomina di un rappresentante fiscale, sottolineano le autorità francesi, si rende necessaria anche se il soggetto non residente abbia solamente obblighi dichiarativi e questo ai fini di una migliore tracciabilità delle operazioni rilevanti ai fini fiscali. Quanto al confronto con il principio comunitario di neutralità fiscale, la regolamentazione amministrativa di cui alla causa principale seppur emanata in un ottica di semplificazione amministrativa, non vuole affatto disattendere e porsi in contrasto con tale principio. La direttiva 2000/65 ha abrogato quelle disposizioni comunitarie in materia di IVA che prevedevano la possibilità per gli Stati membri, di nominare dietro autorizzazione, un rappresentante fiscale. Al riguardo la Corte già si è espressa in passato pronunciandosi nel senso che non possa essere giustificata la scelta di nominare un rappresentante fiscale, contravvenendo al regime IVA comunitario, basando tale scelta sulla volontarietà da parte dei soggetti coinvolti. Inoltre, le disposizioni amministrative francesi sono tali da essere delle disposizioni che derogano al regime della inversione contabile nonostante la Francia abbia istituito tale sistema altrimenti noto come “reverse charge”. Quanto alla registrazione ai fini IVA dei soggetti non residenti in merito alle cessioni di beni o alle prestazioni di servizi tale adempimento non sembra plausibile in virtù proprio dell’istituzione del regime dell’inversione contabile e del fatto che comunque il soggetto non residente resta legalmente responsabile in quanto viene comunque identificato ai fini dell’imposta sul valore aggiunto in applicazione di specifiche disposizioni della sesta direttiva IVA. Infine, il riconoscimento della possibilità di portare a detrazione, da parte del soggetto non residente, anche l’IVA assolta per conto e in nome di clienti necessiti di una preventiva autorizzazione ai sensi della sesta direttiva Iva, art. 395, paragrafo 1. Pertanto, il soggetto non residente può comunque rivalersi attraverso l’attivazione di una procedura di rimborso.

Il giudizio della Corte

A conclusione della disamina eseguita sulla questione pregiudiziale presentata alla Corte, i giudici della ottava sezione si sono espressi dichiarando come non si possa contravvenire al regime comunitario in materia di IVA, direttiva del Consiglio 2006/112/CE, senza un espressa autorizzazione delle istituzioni comunitarie. Pertanto, le norme di natura amministrativa di cui alla causa principale, non possono introdurre misure in deroga al principio della inversione contabile e prevedere per il soggetto passivo non residente la nomina di un rappresentante fiscale nel territorio francese.