INTRA UE: cessione intra UE provata dalla CMR

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Il CMR è la prova documentale più importante per dimostrare la cessione intracomunitaria

Il fornitore IT deve provare che i beni siano stati consegnati in un altro Stato UE per poter applicare la non imponibilità IVA ex art. 41 DL 331/1993: in mancanza di tale prova l’Agenzia Entrate contesta l’operazione e la assoggetta ad IVA, irrogando la sanzione (dal 100% al 200% dell’imposta non applicata in fattura).

Secondo la giurisprudenza nazionale e comunitaria è il fornitore che deve dimostrare l’esistenza della cessione intra UE. Sul come, la giurisprudenza indica al cedente di adottare tutte le misure ragionevolmente ipotizzabili per assicurarsi che i beni siano stati effettivamente trasferiti in un altro Stato membro, ed in tal senso i documenti ordinariamente richiesti sono (in ordine di importanza):

  • fattura non imponibile ex art. 41 DL 331/1993,
  • INTRASTAT,
  • contabili bancarie,
  • contratto, ordine di acquisto,

La prova più importante è però quella del trasporto: per il trasporto stradale, la prova madre è il CMR (“Convention des Marchandises par Route” o lettera di vettura internazionale), firmato da mittente, dal trasportatore per presa in carico e dal destinatario attestante il ricevimento della merce, (RM 345/E/2007).

Con RM 19/E/2013, l’Agenzia ha riconosciuto la validità anche del “CMR elettronico”, firmato da cedente, vettore e destinatario e messo a disposizione in formato pdf, tramite piattaforma elettronica condivisa tra cedente e vettore. Il CMR costituisce “contratto di trasporto”, ed è facile da ottenere nelle cessioni “franco destino” (quando il fornitore è anche il committente del trasporto e il trasportatore è tenuto a rendere conto al fornitore dell’adempiuta consegna); senza CMR, quali sono le prove?

La prova può essere fornita con qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare che i beni sono stati inviati in un altro Stato membro (RM 477/E/2008), quindi può valere un documento di trasporto comunque denominato (DDT, delivery note, proof of delivery POD, ecc.), dotato dei seguenti requisiti minimi:

  • – data documento;
  • – dati di fornitore, trasportatore e destinatario;
  • – descrizione merci o altro riferimento idoneo a collegare il documento alla fattura;
  • – firma del destinatario  per presa in carico della merce in altro Paese UE.

Nella prassi commerciale, sono gli spedizionieri, su richiesta del mittente, a fornire i documenti anche nei casi di groupage (una unica operazione di trasporto, che mette insieme più spedizioni distinte magari logisticamente vicine, per ottimizzare la spedizione), ma spesso è previsto un corrispettivo che può anche rivelarsi importante.

Senza CMR/ documento di trasporto, si può:

  • acquisire la dichiarazione sottoscritta dal cessionario, su carta intestata, in cui attesti il ricevimento della merce (RM 477/E/2008 e RM 71/E/2014), con riferimento anche a una pluralità di acquisti e che contenga, oltre alla sottoscrizione del dichiarante, il riferimento alla fattura, il luogo e la data di consegna. Questa strada rischia di infastidire il cliente, specie per importi bassi.
  • oppure utilizzare come prova indiretta le informazioni dello spedizioniere, la fattura dello spedizioniere, il contratto di assicurazione commerciale per il trasporto merci e la corrispondenza tra le parti (lettere, fax, e-mail, comunicazioni commerciali, documenti attestanti gli impegni contrattuali).

Si potrebbe anche stipulare un contratto con lo spedizioniere o con il cliente, con clausole che prevedano l’obbligo di comunicare l’avvenuta consegna dei beni nel luogo di destino o almeno di comunicare la mancata consegna nel luogo di destinazione indicato nel documento di trasporto, ovvero la consegna degli stessi in luogo diverso da quello indicato in tale documento (circolare Assonime n. 20 del 1° luglio 2013).

In definitiva si deve cercare di fare tutto quanto ragionevolmente possibile per dimostrare la buona fede del fornitore.

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