PLAFOND IVA: con dichiarazioni intento false IVA a carico del cedente

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La Cassazione, con sentenza 4593/2015, ha stabilito che il cedente/fornitore è tenuto al versamento dell’IVA sulle operazioni effettuate senza applicazione d’imposta in base a dichiarazioni intento false ideologicamente , salvo che dimostri di aver adottato tutte le cautele proprie di un operatore onesto e mediamente accorto per poter escludere che le operazioni lo potessero rendere partecipe di una frode IVA.

Il caso è quello di una frode IVA nel settore del commercio di automobili col noto meccanismo delle cartiere:

  • alcune società – cartiere prive di struttura e personale, che omettono qualsiasi adempimento e versamento – si dichiarano falsamente esportatori abituali con plafond IVA rilasciando false dichiarazioni d’intento ex art. 1, co.1, lettera c) DL 746/1983;
  • una società formalmente regolare cede loro le automobili, senza IVA ex art. 8, co.1, lettera c) DPR 633/1972, sulla base delle false dichiarazioni d’intento di cui sopra.
  • tali “cartiere” a loro volta, cedono le automobili con applicazione dell’IVA a rivenditori italiani, che, acquistano ad un prezzo inferiore e detraggono anche l’IVA, cedendo, infine, le automobili ai clienti nazionali;
  • di fatto, quindi, le automobili non lasciano mai il territorio dello Stato, anzi di solito si muovono in un ambito territoriale abbastanza circoscritto.

Il Fisco, in sede di controllo nei confronti della società formalmente regolare a monte di tutte le operazioni sopra descritte, aveva accertato la debenza dell’IVA su tali cessioni, che, alla fine, erano risultate nazionali, poiché le autovetture non avevano mai lasciato il territorio dello Stato e di ciò la società doveva essere al corrente.

In passato vigeva il seguente orientamento:

  • il cedente, una volta ottenute le dichiarazioni d’intento formalmente regolari, non sarebbe tenuto ad eseguire alcun controllo, rimanendo a carico di chi emette tali dichiarazioni la responsabilità, anche penale, per l’eventuale falso (Cass. n. 28948/2008) e in particolare, solo quando la dichiarazione stessa esista e non sia ideologicamente falsa o, comunque, il cedente non sia consapevole di tale falsità, l’operazione deve ritenersi non imponibile, a prescindere dalla prova dell’effettiva avvenuta esportazione della merce (Cass. n. 21956/2010). In caso contrario viene meno la fattispecie ex art. 8 sopra menzionato per mancanza originaria della dichiarazione d’intento e quindi l’operazione commerciale posta in essere, non può essere in regime di esenzione, obbliga il cedente a versare egli stesso l’imposta (Cass. n. 16819/2008).

Il nuovo orientamento di derivazione comunitaria è il seguente:

  • non può essere riconosciuta l’esenzione IVA se i beni non sono stati effettivamente esportati e le dichiarazioni d’intento sono ideologicamente false, quindi il cedente deve assolvere successivamente l’IVA sulla cessione di tali beni, salvo che risulti provato che egli abbia adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere al fine di assicurarsi che la cessione effettuata non lo conducesse a partecipare alla frode (Cass. nn. 176/2015, 9324/2014, 12961/2013).

Nel caso specifico, la società si è difesa affermando di non conoscere la reale destinazione dei beni; l’Agenzia Entrate però aveva fornito una serie di elementi rivelatori della presumibile consapevolezza, e cioè che:

  • le società cessionarie “esportatrici abituali” erano cartiere prive di strutture e personale;
  • i rapporti commerciali erano intrattenuti direttamente con il titolare degli autosaloni destinatari finali delle autovetture,
  • tali autovetture solo formalmente transitavano in precedenza dalle cartiere;
  • i pagamenti di tali società cartiere erano effettuati in contanti o con assegni del titolare degli autosaloni.

In tal modo l’Amministrazione aveva dimostrato che la società non poteva non sapere della frode, in quanto disponeva di tutti gli indizi che avrebbero posto in allerta qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto (Cass. nn. 23560/2012, 9108/2012, 6229/2013, 15044/2014). Pertanto, correttamente il Fisco aveva richiesto alla società cedente il versamento dell’IVA.

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