TERRITORIALITA’: acquisti di servizi all’estero da parte di Enti Locali

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Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili ha pubblicato il 15 novembre 2011 sul proprio sito (www.cndcec.it) un documento sulla nuova territorialità IVA sui servizi: Gli adempimenti degli enti locali per gli acquisti di servizi dall’estero.

Sintesi dell’introduzione

A seguito del D.Lgs. 18/2010 (di attuazione delle tre Direttive 2008/8/CE – territorialità delle prestazioni di servizi, 2008/9/CE – rimborso IVA ai soggetti passivi stabiliti in altro Stato UE, 2008/117/CE– contrasto delle frodi fiscali sulle operazioni intra-UE), a partire dal 1° gennaio 2010 cambia il principio generale di territorialità per le prestazioni di servizi generiche (nuovo art. 7-ter DPR 633/1972): dal principio del luogo in cui le stesse prestazioni erano rese, ora si passa al principio del “luogo in cui avviene il consumo effettivo”, vale a dire quello del committente.

Il recepimento delle tre richiamate direttive è un altro passo in avanti nel processo di armonizzazione dell’IVA comunitaria iniziato alla fine degli anni ’60, per attuare un sistema di tassazione delle operazioni imponibili nello Stato in cui avviene il consumo del bene o la fruizione del servizio.

L’art. 6, co.3, della II Direttiva CEE sull’IVA prevedeva, in sintonia con la qualificazione dell’IVA come imposta sui consumi, che le prestazioni di servizi fossero imponibili nel “luogo di utilizzazione”. Questo però era previsto solo per alcune prestazioni di servizi, negli altri casi l’individuazione del criterio di territorialità era rimessa alla discrezionalità degli Stati.

Questa mancata completa armonizzazione fece si che in molti casi non fosse possibile stabilire quale fosse il luogo di utilizzo del servizio, con il conseguente verificarsi di fenomeni di doppia imposizione o non tassazione.

Gli Organi comunitari rividero di conseguenza le regole in materia di prestazioni di servizi, e con la VI Direttiva CEE introdussero come regola generale della territorialità quella incentrata sul “domicilio del prestatore del servizio” (e non più quella sul “luogo di utilizzazione” della prestazione).

La normativa prevista dalla VI Direttiva veniva trasportata interamente nell’art. 7 DPR 633/1972, nel quale, accanto alla regola generale, venivano introdotte, per determinate categorie di servizi, una serie di deroghe, che determinavano la tassazione con riferimento a 3 parametri alternativi:

  • luogo di esecuzione della prestazione;
  • luogo di utilizzazione della stessa;
  • luogo del domicilio o della residenza del committente.

Questa soluzione era di fatto di non facile comprensione, non eliminava i fenomeni di doppia imposizione e causava spesso conflitti di competenza tra i diversi Stati membri, al punto che il principio generale del luogo del prestatore del servizio veniva applicato molto raramente, creandosi così un complesso sistema di deroghe al principio generale che nella maggior parte dei casi andava a tassare il servizio nel luogo di destinazione del servizio stesso (= principio del committente).

Così, a livello comunitario, non si è fatto altro che prendere atto che la IV Direttiva non era riuscita a semplificare il quadro normativo in materia di territorialità delle prestazioni, e con la Direttiva 2008/8/CE, entrata in vigore in Italia il 1° gennaio 2010, si è tornati al criterio del “luogo di utilizzo” come il più idoneo a tassare le prestazioni di servizio.

Dal 1° gennaio 2010 è stato introdotto un sistema in cui le prestazioni di servizio vengono distinte in base ai soggetti che ricevono la prestazione stessa:

  • privati consumatori : resta il vecchio principio secondo cui luogo dell’imposizione è quello in cui il prestatore ha stabilito la sede della propria attività economica (o stabile organizzazione) – luogo del prestatore;
  • soggetti passivi: si attua la nuova regola secondo cui il luogo di imposizione diviene, di norma, quello in cui avviene il consumo effettivo – luogo del committente.

Altra novità: “soggetto passivo” è anche colui cui sono ascrivibili attività non rilevanti ai fini IVA, semplicemente in quanto titolare di Partita IVA ovvero identificato ai fini IVA, quindi, sono soggetti passivi (oltre ovviamente alle ditte):

  • tutti gli enti non commerciali (art. 4, co.4, DPR 633/1972) se titolari di Partita IVA (per l’attività commerciale) e
  • tutti coloro che svolgono esclusivamente attività istituzionali, identificati però ai fini IVA in quanto hanno effettuato acquisti INTRA oltre la soglia di 10.000,00 Euro (art. 38, DL 331/1993) e
  • gli stessi enti che, anche al di sotto di tale soglia, hanno optato per l’applicazione dell’imposta in Italia sugli acquisti intracomunitari e che, a tale motivo, dispongono di un numero di Partita IVA (art. 38, co.6 DL 331/1993).

Pertanto, il fatto stesso di possedere Partita IVA , anche se non attribuisce la qualifica di “soggetto passivo” in senso proprio, fa sì che non si debba più distinguere se l’Ente pubblico non commerciale (così anche l’Ente Locale territoriale) riceva una determinata prestazione nell’ambito della propria attività istituzionale o economica in quanto la tassazione avviene comunque in Italia e sono quindi tutti interessati dalla nuova territorialità delle prestazioni di servizi.

In ogni caso gli Enti Locali, benché assimilati agli operatori economici ai fini della territorialità IVA, potranno continuare ad esercitare il diritto alla detrazione solamente per gli acquisti effettuati nell’esercizio di attività commerciali e non per quelli effettuati per attività istituzionali.

In altre parole, non ai fini della detraibilità dell’IVA sulle spese sostenute per acquisti di beni/servizi bensì solo a quelli della definizione della territorialità e quindi degli adempimenti INTRASTAT, gli Enti Locali sono soggetti “business”.

>>>> A questo link è possibile scaricare il documento integrale

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