INTRA UE: per la non imponibilità IVA va dimostrato l’effettivo trasferimento

Fonte: Fisco Oggi
Data: 10 Giugno 2013
Autore: S. Ungaro

Iva intracomunitaria: senza malafede, non significa essere “innocente”

Per usufruire del regime di non imponibilità delle operazioni all’interno dell’Ue, non è sufficiente la “forma”. Bisogna anche dimostrare l’effettivo trasferimento del bene.
Per usufruire del regime di non imponibilità ai fini Iva delle operazioni intracomunitarie, non bastano gli adempimenti di natura formale, ma il cedente deve provare anche l’esistenza dello scambio intracomunitario ovvero l’effettivo trasferimento del bene in altro Paese dell’Unione europea.
È quanto affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 12964 del 24 maggio 2013.La vicenda
La Guardia di finanza contestava a una società a responsabilità limitata la fatturazione di merci asseritamente destinate all’esportazione in favore di una società tedesca, ma in realtà movimentate esclusivamente in Italia.
Veniva quindi emesso nei confronti della società contribuente, che si era avvalsa del regime di non imponibilità delle operazioni intracomunitarie, un avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2009, per il recupero dell’Iva, con ulteriore irrogazione di sanzioni.
I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, accoglievano i ricorsi della società contribuente che, alla stregua della giurisprudenza della Corte di giustizia, non sarebbe stata tenuta a verificare l’avvenuto trasferimento della merce fatturata in un altro Paese comunitario, ma soltanto a rispettare le prescrizioni normative concernenti gli adempimenti formali.Il ricorso
L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 41, comma 1, lettera a), DL 331/1993 e dell’art. 28-quater, punto a), lettera a), Direttiva 77/388/Cee, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3, del codice di procedura civile.
L’Amministrazione finanziaria lamentava, in particolare, che la Commissione tributaria regionale, nel respingere l’appello aveva erroneamente ritenuto che non incombesse sul cedente altro onere se non quello di essere in regola con le disposizioni in materia di registrazione delle fatture e delle operazioni intracomunitarie, tralasciando di considerare, per converso, che era proprio il cedente a dover provare l’effettivo trasferimento della merce in un Paese comunitario.

La pronuncia
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 12964 del 24 maggio, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e ha cassato la sentenza impugnata.
I giudici di legittimità hanno ricordato che il beneficio della non imponibilità ai fini Iva ricorre sempre che le cessioni abbiano le caratteristiche indicate dall’articolo 41 DL 331/1993, tra cui l’effettiva movimentazione del bene con partenza dall’Italia e arrivo in uno Stato membro dell’Unione europea, indipendentemente dal fatto che il trasporto o la spedizione siano effettuati dal cedente, dal cessionario o da terzi per loro conto.
In assenza dei presupposti normativamente indicati, le cessioni vengono assoggettate all’imposta nel territorio dello Stato.

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha più volte avuto modo di precisare che l’onere di provare l’esistenza dello scambio intracomunitario (cioè l’effettivo trasferimento del bene nel territorio di altro Stato membro) grava sul contribuente cedente, che emette la fattura e non applica l’imposta nei confronti del cessionario (articolo 50, comma 1, Dl 331/1993), dichiarando che l’operazione non è imponibile (articolo 46, comma 2, Dl 331/1993).
Ciò, proprio in ragione del principio generale di cui all’articolo 2697 del codice civile, secondo il quale l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto, che legittimano la deroga al normale regime impositivo, è a carico di chi invoca la deroga (cfr Cassazione, sentenze 1670/2013, 13457/2012, 20575/2011, 3603/2009 e 21956/2010).

Nel caso di specie, dunque, la società cedente avrebbe dovuto fornire prova dell’avvenuto trasferimento della merce in altro Paese UE, trattandosi di un elemento strutturale della fattispecie normativa, la cui mancanza impedisce il riconoscimento dello stesso carattere “intracomunitario” dell’operazione (cfr Cassazione, sentenza 13457/2012) e fa venir meno il beneficio della non imponibilità.

Infatti, la Corte di cassazione (cfr  Cassazione, sentenza 1670/2013), evocando le più recenti risoluzioni emanate dall’Agenzia delle Entrate (la RM 345/E/2007 e la RM 477/E/2008), pur avendo escluso che il cedente sia tenuto a svolgere attività investigative sulla movimentazione subita dai beni ceduti dopo che gli stessi siano stati consegnati al vettore incaricato dal cessionario, ha affermato che lo stesso ha il dovere “di impiegare la normale diligenza richiesta a un soggetto che pone in essere una transazione commerciale e, quindi, di verificare con la diligenza dell’operatore commerciale professionale le caratteristiche di affidabilità della controparte – Cassazione 13457/2012 –, dovendo questi procurarsi mezzi di prova adeguati alle necessità, capaci se non di dimostrare, quanto meno di non lasciare dubbi circa l’effettività dell’esportazione e circa la sua buona fede in ordine a tale dato. Ciò, peraltro, nella consapevolezza che la concreta individuazione delle condotte, che il cedente deve tenere (o astenersi dal tenere), perché lo si possa giudicare in buona fede nell’esecuzione di una cessione intracomunitaria non conclusasi con l’effettivo trasferimento dei beni ceduti nello Stato membro di destinazione, attiene a valutazioni riservate al giudice di merito in quanto inevitabilmente legate alle specifiche caratteristiche di ciascuna vicenda – Cassazione 8132/2011”.

In definitiva, non incombe sul cedente l’onere di escludere la prova della propria malafede, ma semmai di provare con ogni mezzo l’effettività dell’esportazione e, qualora sia invece provato e ammesso che tale esportazione non vi è stata, di dimostrare che il cedente è stato tratto in inganno nonostante avesse adottato le opportune cautele per evitare tale aggiramento.
Orbene, nel caso di specie, i giudici di appello non hanno applicato correttamente i principi appena espressi, motivo per cui i giudici di piazza Cavour hanno rinviato la causa ad altra sezione della Commissione tributaria regionale.

Ancora una sentenza della Cassazione sul tenore di tutte quelle degli ultimi dieci anni e più. Morale: l’effettivo trasferimento deve essere sempre dimostrato dal contribuente, “con qualsiasi mezzo”.

DISEGNI +: riapertura Bando Disegni + Misura B “Incentivi”

Fonte: Incentividesign.it

Download: Avviso Pubblico

PROGRAMMA «DISEGNI +»: IL 10 GIUGNO VERRA’ RIATTIVATO

LO SPORTELLO DELLA MISURA B (INCENTIVI).

La riallocazione di risorse del programma consente nuove opportunità alle micro e pmi italiane che intendono valorizzare il proprio design.

Con Avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 129, serie generale, del 4 giugno 2013, la Direzione Generale per la Lotta alla Contraffazione – Ufficio Italiano Brevetti e Marchi del Ministero dello Sviluppo Economico rende noto che dalle ore 12,00 del 10 giugno sarà riattivato lo sportello della Misura B (Incentivi) del programma «DISEGNI +». Lo sportello fu sospeso il 23 dicembre 2011 a causa dell’esaurimento delle risorse a disposizione della misura.

La riattivazione è stata resa possibile dalla riallocazione delle risorse destinate al programma, dopo aver effettuato una ricognizione dei fondi disimpegnati fino ad oggi a seguito di vari eventi (decadimenti, rinunce, ecc.) sommati ai fondi ancora disponibili sulla Misura A (Premi). In sintesi, dal 10 giugno prossimo verranno rimessi a disposizione delle micro e pmi italiane oltre 6 milioni di euro, destinati a coprire le future richieste di premi e di incentivi senza alcuna ripartizione predeterminata fra l’una e l’altra misura.

Trattandosi di un programma “a sportello”, sarà possibile presentare domanda di agevolazione fino all’esaurimento delle risorse, secondo i criteri stabiliti dall’Avviso reso pubblico su G.U.R.I. n. 179, serie generale, del 3 agosto 2011 e consultabile al sito internet www.incentividesign.it

L’ente gestore del programma è la Fondazione Valore Italia.

Chi può partecipare.

Possono partecipare tutte le micro e pmi italiane che intendono valorizzare la propria creatività, attraverso il ricorso alla registrazione dei disegni e modelli industriali ed alla loro successiva valorizzazione economica.
Rimangono validi tutti i requisiti previsti dall’Avviso sopra richiamato:

  • per la Misura A; la possibilità di richiedere premi fino a tre diversi disegni industriali, purché appartenenti a differenti Classi di Locarno;
  • per la Misura B; la possibilità per ogni impresa di accedere una sola volta alla agevolazione. Di conseguenza le imprese che hanno già ottenuto l’incentivo della Misura B nei mesi scorsi non potranno presentare una nuova domanda di agevolazione.

Come fare.

 Si ricorda che le domande sono presentabili esclusivamente per via telematica, previa registrazione al sito www.incentividesign.it

Una volta effettuato l’accesso sarà sufficiente seguire le indicazioni che verranno via via fornite. E’ comunque possibile scaricare prima una breve guida che illustra i passaggi da compiere per presentare la domanda. Si consiglia inoltre di consultare le Faq del sito.

Per contattare direttamente l’ente gestore il numero telefonico di supporto è 06.86766656, attivo  nei giorni di lunedì, mercoledì e venerdì in orario 10,30-12,30.

Si può inoltre scrivere un messaggio di posta elettronica con le propie domande all’indirizzo mail info@incentividesign.it

DOGANA: proroga procedura semplificata transito “SWISS CORRIDOR T2”

Le Amministrazioni doganali di Italia (Agenzia Dogane e Monopoli, comunicato, Prot. 68822 del 05/06/2013), Svizzera, Germania, Paesi Bassi, Belgio e Francia hanno deciso di prorogare l’utilizzo della procedura semplificata di transito comunitario/comune a mezzo ferrovia, denominata “Swiss Corridor T2”, che sarebbe dovuta terminare il 23 giugno 2013.

Tale procedura è una ulteriore semplificazione rispetto al transito ferroviario semplificato ex artt. 412 e segg. del Reg. (CEE) 2454/93 e riguarda solo merci comunitarie che attraversano la Svizzera con partenza e destinazione tra gli Stati firmatari nel rispetto delle necessarie misure di sicurezza fiscale e doganale.

La proroga è concordata fino alla data di approvazione delle disposizioni di applicazione del Codice Doganale dell’Unione.

>>> Accordo Internazionale SWISS Corridor T2

INTRA UE: IVA su acquisti intra UE detraibile solo se assolta a monte

Fonte: Fisco Oggi
Data: 30/05/2013
Autore: a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME
Ai fini del riconoscimento del diritto allo scomputo dell’imposta, è necessario che gli obblighi sostanziali connessi al tributo siano stati puntualmente osservati
I commi 1 e 8 dell’articolo 40 DL 331/1993, nel testo vigente prima delle modifiche ex art. 2, co. 1, lett. b), D.Lgs 18/2010, prevedevano che gli acquisti di beni mobili intra UE venissero assoggettati a Iva in Italia quando detti beni venivano spediti o trasportati dal territorio di altro Stato membro nel territorio dello Stato e che, parimenti, fossero assoggettate a imposta nel territorio dello Stato le operazioni di intermediazione in dette vendite, rese a favore di soggetti Iva residenti.
Con riferimento alle cennate operazioni, l’acquirente del bene e/o il committente della prestazione di intermediazione doveva: numerare le fatture ricevute, integrarle indicando in euro (in precedenza in lire) gli elementi dell’imponibile espresso in valuta estera e l’ammontare dell’imposta, nonché annotarle nel registro delle fatture emesse (registro delle vendite) e in quello delle fatture ricevute (registro degli acquisti), così da dare vita a un credito Iva esattamente corrispondente all’imposta dovuta (articoli 17, comma 3, del DPR 633/1972, e 46 DL 331/1993, entrambi nel testo vigente ratione temporis). Nella fattispecie sottoposta all’attenzione della Corte suprema (sentenza n. 6925 del 20 marzo 2013), il contribuente aveva omesso l’annotazione delle fatture in entrambi i registri, procedendo, tuttavia all’esercizio della detrazione dell’Iva assolta sugli acquisti, mediante indicazione del relativo credito nella dichiarazione Iva.Premesso che dalla lettura della pronuncia in epigrafe non risulta chiaro in che modo il contribuente abbia proceduto a esporre in dichiarazione un credito Iva relativo a un’operazione passiva non contabilizzata (posta la mancata annotazione della medesima nel registro degli acquisti), comunque – in tale stato di cose – la Corte di cassazione ha riconosciuto la legittimità del recupero dell’imposta scomputata in detrazione, operato dall’ufficio, rilevando nella fattispecie l’assenza di qualsivoglia violazione del principio di neutralità dell’Iva.Come correttamente evidenziato dal Supremo collegio, infatti, il principio di neutralità dell’Iva impone che l’inosservanza da parte di un soggetto passivo delle formalità imposte da uno Stato membro non può privare il soggetto medesimo del suo diritto alla detrazione Iva, esercitato mediante annotazione a credito dell’imposta in dichiarazione; ferme restando le eventuali sanzioni previste per l’inosservanza degli obblighi formali.

Tuttavia, ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione, è pur sempre necessario che gli obblighi sostanziali connessi all’imposta in questione siano stati puntualmente osservati. Il che si traduce nella necessità che, a monte della detrazione, vi sia comunque stato il versamento dell’imposta dovuta (Corte di giustizia 8 maggio 2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07; Cassazione 25 novembre 2011, n. 24912; Cassazione, 28 luglio 2010, n. 17588; Cassazione 9 ottobre 2009, n. 21457; Cassazione 20 agosto 2004, n. 16477 e 5 maggio 2010, n. 10819; in prassi: RM 56/E/2009, ove è stato evidenziato che “è fatto salvo il diritto alle detrazioni si sensi dell’art.19 d.P.R. 26 ottobre 1972 n.633 quando l’imposta sia stata assolta, ancorché irregolarmente“).

Come si è detto, tuttavia, nella fattispecie sub iudice, il soggetto passivo non aveva provveduto ad annotare le operazioni in questione né nel registro degli acquisti né in quello delle vendite, comunque indicando nella dichiarazione annuale il credito d’imposta relativo all’Iva da scomputare in detrazione con riferimento alle operazioni medesime.

Secondo la Corte, quindi, il soggetto passivo, oltre a non aver rispettato gli obblighi formali imposti dalla normativa, non aveva altresì assolto gli obblighi sostanziali di versamento dell’imposta, cui avrebbe dovuto provvedere mediante l’annotazione delle operazioni nel registro delle vendite. In tale stato di cose, ad avviso del Supremo collegio, il diritto alla detrazione, esercitato mediante esposizione del relativo credito in dichiarazione, non può essere riconosciuto.